martedì, 23 Aprile 2024
Home Blog Page 54

Referendum Donbass 2022: l’esito diventa legge


A seguito del referendum tenutosi nel Donbass nell’ultima settimana di settembre, Il presidente della federazione russa Vladimir Putin ha firmato il decreto che prevede l’annessione alla Russia delle 4 regioni ucraine parzialmente occupate, portando così ufficialmente a conclusione tutto l’iter burocratico necessario. Come approfondisce la notizia della BBC Russian news, alla base di questo nuovo decreto è previsto un cambiamento della Costituzione stessa, riguardante l’elenco dei cosiddetti “soggetti” territoriali della federazione, a cui si aggiungeranno l’oblast’ di Cherson, di Zaporižžja, così come le ormai ben note repubbliche autoproclamate di Lugansk e Donetsk.

Come governatori incaricati ad interim sono stati confermati i vari pupilli fidati di Putin, nonché Denis Pušilin (Repubblica Popolare di Donetsk), Leonid Pasečnik (Repubblica Popolare di Lugansk), Evgenij Balizkij (Oblast’ di Zaporižžja) e Vladimir Sal’do (Oblast’ di Cherson): anche a tal proposito è stato firmato un decreto dal presidente.

Arrivati a questa ennesima svolta di una guerra ormai ad alta intensità che si combatte ininterrottamente da 8 anni, il gigante russo “ingurgita” su carta l’equivalente del 15% totale del territorio ucraino. Sempre su carta non si è fatta attendere la risposta del presidente ucraino Zelenskij che, secondo l’agenzia RBC (gruppo mediatico russo con sede a Mosca), avrebbe da poco firmato un decreto con valore esattamente opposto a quello del suo omonimo russo: il non-riconoscimento dell’indipendenza della repubblica della Crimea e del Donbass dal governo ucraino. Nello specifico, tale decreto fa riferimento a 5 documenti con cui la Russia ha riconosciuto e riconosce ufficialmente la sovranità dei precedentemente menzionati territori, nell’ordine:

1. Decreto № 147 del 17 marzo 2014 “Sul riconoscimento della Repubblica della Crimea”
2. Decreto № 71 del 21 febbraio 2022 “Sul riconoscimento Repubblica Popolare di Donetsk”
3. Decreto № 72 del 21 febbraio 2022 “Sul riconoscimento Repubblica Popolare di Lugansk”
4. Decreto № 685 del 29 settembre 2022 “Sul riconoscimento dell’oblast’ di Zaporižžja”
5. Decreto № 686 del 29 settembre 2022 “Sul riconoscimento dell’oblast’ di Cherson”

La risposta ucraina, come ben noto ormai da tempo, continua ad arrivare anche concretamente sul campo di battaglia, con coraggio: stando a quanto riportato dall’agenzia britannica Reuters, citata dall’emittente tedesca Deutsche Welle, le forze armate ucraine appaiono più che mai determinate a portare a termine la controffensiva su più fronti, impegnando come non mai l’armata russa. Chiaro che da parte degli ucraini, quanto avvenuto nelle ultime due settimane, non influisce minimamente sul proprio obiettivo di liberare i territori occupati.

Ad oggi nessuno dei territori annessi è controllato al 100% dalle forze armate russe. I decreti di cui si è parlato poc’anzi, riportano indicazioni troppo vaghe e di libera interpretazione allo stato attuale del conflitto, come se ignorassero volutamente la natura stessa di questo conflitto, diventato ormai una guerra di trincea, capace di cambiare delimitazioni e confini giorno dopo giorno, se non ora dopo ora.

E nel resto mondo invece? Come è stato accolto l’esito di questo referendum con molte incognite? I paesi occidentali, supportati dall’intera alleanza atlantica, hanno dichiarato all’unanimità che non riconosceranno l’esito di tale referendum, così come qualsiasi altra azione bellica volta ad occupare altri territori ucraini, operando lo stesso modus operandi. Ciò non dovrebbe stupire nemmeno Putin, tenendo in conto che un referendum così organizzato, in pochi giorni, in un territorio conteso teatro di morte e violenza, non sarebbe riconosciuto come legittimo nemmeno dalla Costituzione della Federazione Russa.

Ma il Presidente russo ha abituato il mondo a non stupirsi più di tali prese di posizione, non avrebbe senso, perciò, iniziare a farlo ora

Afghanistan: attentato in una scuola a Kabul, donne in marcia contro il genocidio hazara

Le vittime dell’attacco sono principalmente giovani studentesse appartenenti alla minoranza sciita storicamente oppressa, la comunità hazara

A seguito dell’attentato di venerdì 30 settembre, centinaia di donne si sono unite in una protesta per le strade di Kabul, per manifestare contro il genocidio in nome del diritto all’istruzione e alla sicurezza per la comunità hazara.

La manifestazione pacifica è stata bloccata immediatamente dalle autorità talebane, le quali pochi minuti dopo l’inizio della marcia, hanno aggredito le manifestanti con insulti, violenza fisica e colpi d’arma da fuoco.

Lo scontento per ciò che è accaduto si è intensificato nel fine settimana, quando proteste simili hanno preso piede anche ad Herat e Bamiyan, guidate da donne del mondo accademico afgano e allo stesso modo fermate dalle forze di sicurezza del governo talebano.

Riguardo alla gestione delle manifestazioni, secondo quanto riportato da Al-Jazeera, le autorità talebane si sono difese affermando di non essere state informate in anticipo sull’organizzazione delle proteste e di essere state dunque costrette a fermarle per prevenire possibili minacce.

Anche la comunità internazionale ha denunciato l’attacco invitando le autorità afgane a fare di più per proteggere le minoranze. Quella degli hazara, musulmani sciiti, terzo gruppo etnico più grande dell’Afghanistan, da sempre soffre la persecuzione da parte dello Stato Islamico e dei talebani, entrambi aderenti all’Islam sunnita.

Attualmente, nessun gruppo ha rivendicato la responsabilità di quanto successo nella zona occidentale della capitale.

Dopo l’acquisizione del potere in Afghanistan da parte dei talebani lo scorso agosto 2021, le scuole pubbliche secondarie femminili sono state chiuse in tutto il paese, e il centro privato Kaji, il quale era stato già oggetto di un attacco simile nel 2018, rappresentava una delle poche possibilità per donne afgane di ricevere un’istruzione. Negli ultimi anni, diversi centri educativi sono stati attaccati in modo simile, causando la morte di numerosi studenti e provocando una diminuzione del numero di iscrizioni universitarie, privando i giovani di un diritto fondamentale.

Elezioni in Brasile: Lula vs Bolsonaro, si va al ballottaggio

Domenica 2 ottobre 156 milioni di brasiliani sono stati chiamati alle urne per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Nonostante gli undici candidati, sin da subito lo scontro è stato tra il presidente in carica, Jair Bolsonaro, e l’ex presidente e leader del Partito dei Lavoratori (PT), Luiz Inácio Lula da Silva. 

Oltre al presidente, si è votato per eleggere anche i rappresentanti della Camera dei Deputati, un terzo del Senato, i governatori dei 26 Stati e del Distretto Federale e tutti i parlamenti statali.

Il clima è particolarmente teso. Dall’ultima elezione, il discorso politico si è polarizzato dando vita a uno scontro non più tanto tra avversari quanto tra “nemici politici”, come si è visto negli ultimi dibattiti e comizi, dove il presidente Bolsonaro, secondo quanto riportato da BBC Mundo, avrebbe sottolineato come questa elezione rappresenti una “lotta del bene contro il male”. Inoltre, lo stesso presidente avrebbe dichiarato di essere disposto ad accettare l’esito delle votazioni a patto che siano pulite. Nel corso della sua campagna, infatti, avrebbe più volte messo in discussione l’affidabilità dei sondaggi e del sistema di voto. 

Gli ultimi sondaggi prima del voto davano Lula come favorito, con un distacco tra i 6 e i 14 punti da Bolsonaro, lasciando presagire una possibile vittoria del leader del PT già alla prima votazione. 

Secondo quanto riportato da El País, l’esito delle elezioni ha visto un 48,38% dei voti assegnato all’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, un 43% al presidente in carica Jair Bolsonaro, e un 10% ai restanti candidati. Insieme, quindi, i due favoriti hanno accumulato quasi il 92%, circa 108 milioni di voti. 

Stando a quanto previsto dal funzionamento del sistema elettorale brasiliano, per vincere le elezioni, un candidato deve ottenere almeno il 50% dei voti. Da quanto emerso, nella prima votazione nessun candidato ha raggiunto il numero di voti richiesto, per cui lo scontro continua e i candidati più votati andranno al ballottaggio del 30 ottobre. 

Più di 30 milioni di persone si sono astenute dal voto, circa il 21% degli aventi diritto. Lula e Bolsonaro hanno quindi poco meno di un mese di tempo per convincere anche questa parte della popolazione ad andare a votare.

Lula si è dimostrato fiducioso e ha incoraggiato il proprio elettorato definendo il ballottaggio “solo una proroga”. Mentre il presidente Bolsonaro si è mostrato nuovamente critico nei confronti dei sondaggi, ha attribuito parte del suo svantaggio alla preoccupazione dell’elettorato rispetto all’inflazione, e ha poi cercato di mettere in guardia da un cambiamento verso sinistra, portando l’esempio di paesi come Cile, Colombia e Argentina. 

Lo scontro rimane, dunque, aperto e i due sfidanti dovranno sedurre la parte dell’elettorato più moderata e gli astensionisti se vogliono aggiudicarsi la vittoria.

Elisabetta II, morta la regina d’Inghilterra

È morta giovedì 8 settembre nella sua tenuta scozzese, dove aveva trascorso gran parte dell’estate.

La regina salì al trono nel 1952 e fu testimone di enormi cambiamenti sociali.

Suo figlio, il re Carlo III, ha detto che la morte della sua amata madre è stato un «momento di grande tristezza» per lui e la sua famiglia e che la sua perdita sarebbe stata «profondamente sentita» in tutto il mondo.

Ha affermato «Piangiamo profondamente la scomparsa di un amato sovrano e di una madre molto amata. So che la sua perdita sarà profondamente sentita in tutto il paese, nei regni e nel Commonwealth e da innumerevoli persone in tutto il mondo», secondo quanto riportato dalla BBC.

Il re e sua moglie, Camilla, ora regina consorte, torneranno a Londra venerdì 9 settembre, ha detto Buckingham Palace.

I reali si erano riuniti a Balmoral dopo che i medici della regina si erano preoccupati per la sua salute all’inizio della giornata.

Anche suo nipote e ora erede al trono, il principe William, e suo fratello, il principe Harry, si sono riuniti lì.

Il mandato della regina Elisabetta II come capo di stato ha abbracciato l’austerità del dopoguerra, la transizione dall’impero al Commonwealth, la fine della Guerra Fredda e l’ingresso e il ritiro del Regno Unito dall’Unione Europea.

Il suo regno comprendeva 15 primi ministri a partire da Winston Churchill, nato nel 1874, e inclusa la signora Truss, nata 101 anni dopo nel 1975.

A Buckingham Palace, la folla in attesa di aggiornamenti sulle condizioni della regina ha iniziato a piangere quando hanno saputo della sua morte.

La bandiera dell’Unione in cima al palazzo è stata abbassata a mezz’asta alle 18:30 BST e un avviso ufficiale che annunciava la morte è stato affisso all’esterno.

Alla morte della regina, il principe William e sua moglie Catherine sono divenuti duca e duchessa di Cambridge e Cornovaglia.

La regina Elizabeth Alexandra Mary Windsor, è nata a Mayfair, Londra, il 21 aprile 1926.

Pochi avrebbero potuto prevedere che sarebbe diventata monarca, ma nel dicembre 1936 suo zio, Edoardo VIII, abdicò dal trono per sposare l’americana Wallis Simpson.

Il padre di Elisabetta divenne re Giorgio VI e, all’età di 10 anni, Elisabetta divenne erede al trono.

La crisi energetica spinge il ritorno del nucleare in Europa

0

Gli investimenti nell’energia nucleare sono diminuiti dopo il disastro di Fukushima del 2011 in Giappone, il peggior incidente nucleare al mondo dai tempi di Chernobyl nel 1986, poiché i timori sulla sua sicurezza sono aumentati e i governi hanno avuto paura.

Ma dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la conseguente compressione delle forniture energetiche e la spinta dell’Europa a rinunciare al petrolio e al gas russi, si pensa sempre più al ritorno del nucleare.

I governi devono affrontare decisioni difficili con l’aumento delle bollette del gas e dell’elettricità e le scarse risorse che minacciano di causare sofferenze diffuse questo inverno.

Alcuni esperti sostengono che il nucleare non dovrebbe essere considerato un’opzione, ma altri sostengono che, di fronte a tante crisi, debba rimanere parte del mix energetico mondiale.

Ciò ha portato alcuni paesi che stavano cercando di eliminare il nucleare ad abbandonare quei piani, almeno a breve termine.

Meno di un mese dopo l’attacco della Russia all’Ucraina, il Belgio ha ritardato di un decennio il suo piano di demolizione dell’energia nucleare nel 2025.

E anche in Germania, la più grande economia d’Europa, attenersi al nucleare non è più un argomento tabù, poiché la crisi energetica riaccende il dibattito sulla chiusura delle ultime tre centrali nucleari del paese entro la fine del 2022.

Berlino ha dichiarato il mese scorso che attenderà l’esito di uno “stress test” della rete elettrica nazionale prima di decidere se attenersi all’eliminazione graduale.

Un altro dei paesi che stanno riconsiderando l’energia nucleare è il Giappone, dove l’incidente del 2011 ha portato alla sospensione di molti reattori nucleari per timori sulla sicurezza.

E in Giappone, questa settimana il primo ministro Fumio Kishida ha chiesto una spinta per rilanciare l’industria nucleare del paese e costruire nuove centrali atomiche.

Ma l’esperto di clima ed energia di Greenpeace Germania, Gerald Neubauer, secondo quanto riportato su The Local, ha affermato che il passaggio al nucleare «non è una soluzione alla crisi energetica».

Ha affermato che l’energia nucleare avrebbe un’efficacia “limitata” nel sostituire il gas russo poiché è principalmente usato per il riscaldamento in Germania, non per la produzione di elettricità.

«I reattori risparmierebbero solo il gas utilizzato per l’elettricità, risparmierebbero meno dell’uno per cento del consumo di gas», ha aggiunto.

Ma secondo Nicolas Berghmans, esperto di energia e clima presso il think tank IDDRI, estendere l’uso del nucleare «può aiutare».

«L’Europa si trova in una situazione energetica molto diversa, con diverse crisi sovrapposte: il problema dell’approvvigionamento di gas russo, la siccità che ha ridotto la capacità delle dighe, la debole produzione delle centrali nucleari francesi», ha affermato.

La lobby pro-nucleare afferma che è una delle migliori opzioni al mondo per evitare il cambiamento climatico poiché non emette direttamente anidride carbonica.

Morto a 91 anni Mikhail Gorbaciov, ultimo leader dell’Urss

È morto Mikhail Gorbaciov, l’ex leader sovietico che pose fine pacificamente alla Guerra Fredda.

Al di fuori della Russia, era ampiamente rispettato.

«Mikhail Gorbaciov era uno statista unico nel suo genere. Il mondo ha perso un leader globale imponente, un multilateralista impegnato e un instancabile sostenitore della pace.» ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, secondo quanto riportato dalla BBC.

L’ospedale di Mosca dove è morto ha affermato che soffriva di una lunga e grave malattia.

Negli ultimi anni la sua salute era peggiorata drasticamente.

Gorbaciov sarà sepolto nel cimitero di Novodevichy di Mosca, luogo di riposo di molti russi importanti.

Il presidente Vladimir Putin ha inviato le sue “più sentite condoglianze”, descrivendo come Gorbaciov abbia avuto “un enorme impatto nel corso della storia”.

I due uomini avevano una relazione tesa, il loro ultimo incontro risale al 2006.

Più di recente, Gorbaciov si era detto scontento della decisione di Putin di invadere l’Ucraina.

Nel suo tributo, il primo ministro britannico Boris Johnson ha affermato di ammirare il coraggio e l’integrità di Gorbaciov.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden lo ha definito un “leader raro” e ha elogiato Gorbaciov come un politico unico che ha avuto «l’immaginazione di vedere che un futuro diverso era possibile.»

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen lo ha elogiato come «un leader fidato e rispettato che ha aperto la strada a un’Europa libera».

Gorbaciov è diventato segretario generale del Partito Comunista Sovietico e leader del paese nel 1985.

A quel tempo, aveva 54 anni, era il membro più giovane del consiglio di governo ed era visto come una boccata d’aria fresca.

Nel 1991, dopo il fallimento di un colpo di stato da parte degli intransigenti comunisti, Gorbaciov accettò di sciogliere l’Unione Sovietica e lasciò l’incarico.

In Occidente è visto come “un architetto della riforma” che ha creato le condizioni per la fine della Guerra Fredda nel 1991, ponendo fine ad un periodo di profonde tensioni tra l’Unione Sovietica e le nazioni occidentali, compresi gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.

È stato insignito del Premio Nobel per la Pace nel 1990 “per il ruolo di primo piano che ha svolto nei cambiamenti radicali nelle relazioni est-ovest”.

Gorbaciov ha tentato di tornare alla vita politica nel 1996, ricevendo solo lo 0,5% dei voti alle elezioni presidenziali.

Henry Kissinger, che ha servito come Segretario di Stato degli Stati Uniti sotto il presidente Richard Nixon, ha dichiarato al programma Newsnight della BBC che Gorbaciov sarebbe stato «ricordato nella storia come un uomo che ha dato inizio a trasformazioni storiche a beneficio dell’umanità e del popolo russo».

Francia, morto il beluga salvato dalla Senna: fallito il tentativo di riportarlo in mare

Il beluga che si era smarrito nella Senna è morto durante un ambizioso sforzo di salvataggio inteso a riportarla alle sue tradizionali fredde acque artiche.

L’animale di quattro metri è stato soppresso dai veterinari dopo aver sviluppato difficoltà respiratorie durante il trasferimento sulla costa della Normandia. Ore prima, era stato sollevato dall’acqua dolce della Senna, dove non poteva sopravvivere.

«Nonostante un’operazione di salvataggio senza precedenti per il beluga, siamo tristi di annunciare la morte del cetaceo», ha twittato il prefetto del dipartimento del Calvados, secondo quanto riportato su The Guardian.

«Durante il viaggio, i veterinari hanno confermato un peggioramento del suo stato, in particolare delle sue attività respiratorie, e allo stesso tempo hanno notato che l’animale soffriva, non respirava abbastanza», ha detto all’Associated Press Florence Ollivet Courtois, esperta francese di animali selvatici.

«La sofferenza era ovvia per l’animale, era importante allentare la sua tensione e quindi abbiamo dovuto procedere all’eutanasia».

Il Sea Shepherd France ha affermato che gli esami veterinari dopo la rimozione del beluga dal fiume hanno mostrato che non aveva attività digestiva. I membri dell’organizzazione avevano tentato senza successo da venerdì 05 agosto di dare da mangiare dei pesci alla balena.

La balena sottopeso di quattro metri è stata avvistata più di una settimana fa mentre si dirigeva verso Parigi ed è rimasta bloccata a 80 miglia nell’entroterra della Manica a Saint-Pierre-la-Garenne in Normandia.

Nella mattina di mercoledì 10 agosto, la balena di 800 kg è stata sollevata dall’acqua tramite una rete nella prima fase di un’ambiziosa operazione di salvataggio. Più di 20 subacquei sono stati coinvolti nell’operazione e i soccorritori che maneggiavano le corde hanno dovuto tentare più volte tra le 22:00 e le 4:00 di attirare l’animale nelle reti per essere sollevato dall’acqua.

È stato quindi spostato su un camion refrigerato per trasportarlo sulla costa. Ma durante il suo viaggio verso la costa, ha sviluppato difficoltà respiratorie ed è stato messo a terra.

«La decisione di sopprimere il beluga è stata presa perché era troppo indebolito per essere rimesso in acqua», ha affermato Guillaume Lericolais, sottoprefetto della regione francese del Calvados.

Bahamas: trovati incredibili tesori in un galeone spagnolo affondato 350 anni fa

Nuestra Señora de las Maravillas era uno splendido galeone a due ponti con 36 cannoni in bronzo, affondato nel lontano 1656. Era l’epoca delle grandi traversate oceaniche e delle scoperte, e il galeone si stava dirigendo in Spagna dopo aver raccolto il bottino recuperato dal relitto di un altro galeone, affondato in Ecuador. In pochi secondi, tuttavia, a causa di uno scontro con una scogliera, il galeone spagnolo affondò nell’oceano, causando la morte di 605 membri dell’equipaggio, secondo quanto riporta la BBC.

Dopo 350 anni, gli esploratori hanno trovato alcuni dei tesori del galeone, che sperano di conservare nel Museo Marittimo delle Bahamas, come parte della ricchezza storica e culturale del luogo.

Il ritrovamento è avvenuto a 70 chilometri dalle coste dell’area occidentale di Little Bahama Bank, nell’arcipelago delle Bahamas, in una posizione volontariamente non resa nota, per preservare il più possibile ciò che resta del galeone affondato. Carl Allen, uomo d’affari e fondatore di Allen Exploration, l’organizzazione che ha diretto la spedizione, ha affermato che «Le Maravillas sono un’icona della storia marittima delle Bahamas». Secondo quanto afferma la direzione del Museo Marittimo, uno dei pezzi più importanti è un orecchino d’oro con la croce di Santiago di Compostela al centro, mentre un secondo orecchino d’oro con al centro la croce di Santiago che sporge da un grande smeraldo colombiano e una cornice con dodici smeraldi è stato ora ritrovato ora nei fondali. Il tutto è stato rinvenuto grazie a una spedizione che ha riportato alla luce una parte del prezioso tesoro che la Nuestra Señora de las Maravillas ha celato per oltre 350 anni nel suo relitto sommerso.

Questo ritrovamento è un evento importante per l’isola, non solo a livello culturale, ma anche economico, dato che già attrae numerosi turisti tutto l’anno per le spiagge bianche e acqua cristallina.

Addio alla patria della pizza: Domino’s chiude tutti gli store in Italia

Domino’s Pizza abbandona il mercato italiano: il franchising statunitense ha fallito la missione di conquistare la patria della pizza. Secondo quanto riportano le agenzie di stampa, le nuove operazioni di consegna nate durante la pandemia hanno creato una concorrenza inaspettata che ha affossato i piani di apertura di 880 negozi in Italia.

L’ambizioso progetto dell’azienda era quello di aprire 880 punti vendita in tutto il paese entro il 2030, speravano di poter conquistare i clienti italiani con le loro pizze speciali e soprattutto con la pizza all’ananas. Sono riusciti ad aprire 29 sedi, che però adesso sono state tutte chiuse. Secondo quanto riportato dal The Guardian ad aprile 2022 il titolare del franchising ePizza ha presentato istanza di fallimento, interrompendo immediatamente il servizio di consegna a domicilio.

Domino’s Pizza è stato importato in Italia dall’imprenditore Alessandro Lazzaroni, una mossa economica che seguiva un’impresa culinaria altrettanto coraggiosa dello stesso impresario: l’arrivo in Italia di McDonald’s, che aprì il suo primo negozio a Bolzano nel 1985. Lazzaroni era consapevole che gli italiani sono molto esigenti in fatto di cibo, ma credeva che le due eccellenze, la qualità dei prodotti italiani e l’abilità americana nella consegna a domicilio di cibo, se unite, avrebbero avuto successo.

La prima pizzeria Domino’s in Italia è stata aperta a Milano nel 2015, per poi espandere il franchising in altre città come Torino, Bologna, Parma e Roma. Però non sono mai riusciti ad arrivare nella città dove è nata la pizza margherita: Napoli.

Secondo Gino Sorbillo, Ambasciatore della Pizza italiana, la catena fast food non avrebbe avuto successo a Napoli, poiché è un mercato particolare, la clientela è molto legata alla tradizione e all’identità della propria città.

L’impresa Domino’s ha avuto un certo successo iniziale, ma non è riuscita a competere col mercato italiano, nemmeno dal punto di vista dei prezzi, dal momento che in una pizzeria italiana è possibile mangiare una pizza per soli 5 euro, e le pizzerie al taglio servono tranci di pizza ad un prezzo ancora inferiore.

In una e-mail, Federico Tozzi, direttore esecutivo della Camera di Commercio Italo-Americana, ha affermato che mentre altre catene di fast-food americane, come McDonald’s e Starbucks, continuano a prosperare in Italia, Domino’s non avrebbe potuto sfidare con successo le pizzerie esistenti nel Paese.

Ryanair: l’era dei voli da 10 euro è finita

Ryanair non offrirà più voli a prezzi stracciati a causa all’impennata del costo del carburante, ha dichiarato il capo della compagnia aerea a basso costo.

L’amministratore delegato di Ryanair, Michael O’Leary, afferma che l’era dei biglietti da 10 euro è terminata.

Ma si dice speranzoso che le persone continueranno a volare frequentemente, nonostante l’aumento del costo della vita.

L’aumento dei costi del carburante che sta facendo impennare le tariffe aeree, sta anche aumentando le bollette energetiche delle famiglie.

Ma il capo della compagnia aerea ha dichiarato alla BBC che, nonostante ciò, si aspetta che i clienti cerchino opzioni a basso costo piuttosto che ridurre i voli.

Poiché le tariffe aeree sono diventate più convenienti negli ultimi decenni, il numero di voli effettuati è aumentato. Compagnie aeree come Ryanair, Easyjet, Vueling e Wizz Air hanno gareggiato per offrire servizi a basso costo.

I voli commerciali ora rappresentano circa il 2,4% delle emissioni globali di CO2 e il settore sta affrontando pressioni per ridurre il proprio impatto sul clima.

Tuttavia, il signor O’Leary ha affermato che i maggiori contributori di CO2 sono stati il trasporto su strada e quello marittimo e ha affermato che l’attenzione sulla riduzione delle emissioni dei viaggi aerei è “fuori luogo”.

Ha affermato che Ryanair sta investendo in aeromobili più efficienti in termini di carburante, ma che maggiori riduzioni nell’uso di combustibili fossili deriverebbero dal passaggio da benzina e diesel ai veicoli stradali elettrici.

A seguito della pandemia causata dal Covid, che ha gravemente interrotto i viaggi internazionali, le persone si sono dimostrate desiderose di tornare a bordo degli aerei.

Ma con la ripresa della domanda di viaggi aerei, la carenza di personale nelle compagnie aeree e negli aeroporti ha portato a ritardi e cancellazioni, nel Regno Unito e all’estero. Alcuni passeggeri sono stati costretti ad aspettare per ore o riprogrammare il viaggio all’ultimo minuto.

O’Leary ha affermato che Ryanair ha gestito la situazione meglio di altre compagnie aeree perché è stata «in parte fortunata e in parte coraggiosa» nella sua decisione di iniziare a reclutare e addestrare personale di bordo e piloti lo scorso novembre, quando la variante Omicron stava ancora influenzando i viaggi internazionali.

Nei primi sei mesi del 2022, Ryanair ha cancellato lo 0,3% dei voli, rispetto al totale di British Airways del 3,5% e del 2,8% di Easyjet, secondo i dati della società di consulenza per i viaggi aerei OAG.

O’Leary si è detto “fiducioso” che i problemi negli aeroporti del Regno Unito sarebbero stati risolti entro la prossima estate, ma ha affermato che la Brexit potrebbe continuare a creare sfide durante l’assunzione di personale.

Ryanair ha sede a Dublino, ma gestisce centinaia di rotte dentro e fuori il Regno Unito.

L’uscita della Gran Bretagna dall’UE si è rivelata un «disastro per la libera circolazione dei lavoratori», ha affermato.

Ha inoltre affermato che la priorità per il prossimo primo ministro del Regno Unito dovrebbe essere quella di firmare un accordo di libero scambio con l’UE, inclusa la libera circolazione dei lavoratori.