giovedì, 12 Giugno 2025
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Risultati referendum 8 e 9 giugno: i commenti della politica

Con un’affluenza intorno al 30% non passa il referendum abrogativo su lavoro e cittadinanza. Le opinioni di maggioranza e opposizione, tra esultanza e perseveranza

«Il referendum è il più importante istituto di democrazia diretta. Grazie ad esso i cittadini, senza la mediazione del Parlamento, possono esprimere la propria opinione direttamente su una norma, un atto o una decisione da assumere». È questa la definizione di referendum riportata sul sito del Governo italiano. Una definizione che, tuttavia, non sembra trovare riscontro nelle dichiarazioni di quest’ultimo. Ma andiamo con ordine.

L’8 e il 9 giugno si sono svolte le votazioni per un referendum abrogativo di 5 quesiti che domandava ai cittadini se volessero o meno abolire alcune misure stabilite dal Jobs Act, nonché la legge sulla cittadinanza. Il referendum era sostenuto dalle maggiori forze di opposizione (PD, AVS, 5 Stelle e +Europa) e dal sindacato della CGIL. Nello specifico, si chiedeva ai cittadini se volessero ristabilire l’obbligo di reintegro di un lavoratore licenziato ingiustamente (per i lavoratori assunti dal 2015 in poi in aziende con più di quindici dipendenti); eliminare il tetto massimo all’indennità dovuta per i licenziamenti illegittimi (nelle aziende con meno di quindici dipendenti); ristabilire l’obbligo, da parte dell’azienda che assume, di una causale per i contratti a tempo determinato inferiori ai 12 mesi; ristabilire la cosiddetta “responsabilità solidale”, per cui in caso di infortunio sul posto di lavoro, tutti i soggetti coinvolti quali committente, appaltatore e subappaltatore hanno gli stessi obblighi verso il lavoratore infortunato; infine, dimezzare i tempi di ottenimento della cittadinanza italiana, da 10 a 5 anni, per tutte quelle persone (circa 2 milioni e mezzo) che non sono nate in Italia ma, come afferma NPR, riconoscono quest’ultima come “casa”.

Il raggiungimento del quorum era tutt’altro che scontato, sin dall’inizio, se non altro per la campagna di astensionismo portata avanti dalla destra meloniana. Come riporta il quotidiano La Nación, infatti, diversi membri del Governo ultraconservatore di Giorgia Meloni hanno fatto appello al non-voto, per non contribuire al raggiungimento del quorum. La stessa premier ha affermato che sarebbe andata al seggio ma non avrebbe ritirato la scheda.

Per il segretario della CGIL Maurizio Landini, tra i principali sostenitori del referendum, l’alta astensione registrata è sinonimo di una «chiara crisi democratica», mentre la maggioranza festeggia: «Le opposizioni hanno voluto trasformare i 5 referendum in un referendum sul governo Meloni. Il responso appare molto chiaro: il governo ne esce ulteriormente rafforzato e la sinistra ulteriormente indebolita». Queste le parole del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, riportate dalla BBC.

È di un altro avviso la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, che in un post su Instagram afferma: «Hanno fatto una vera e propria campagna di boicottaggio politico e mediatico di questo voto ma hanno ben poco da festeggiare: per questi referendum hanno votato più elettori di quelli che hanno votato la destra mandando Meloni al governo nel 2022. Quando più gente di quella che ti ha votato ti chiede di cambiare una legge dovresti riflettere invece che deriderla».

Intanto, arriva il suggerimento di Tajani per una modifica alla legge sui referendum: «Servono più firme», «milioni di schede inviate all’estero sono tornate bianche».

Laura Vargiu
Studentessa della Facoltà di Interpretariato e Traduzione
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