Quando un sudcoreano diventa maggiorenne sa che dovrà indossare la divisa militare per almeno due anni. La Corea del Sud, tecnicamente in guerra con Pyongyang da 70 anni, ha introdotto nel 1957 la leva obbligatoria per tutti gli uomini.
La chiamata alle armi è un rito di passaggio per diventare un «vero» uomo e affermare la propria virilità. Ma come accade tra le file delle truppe statunitensi, i soldati sudcoreani mantengono il più stretto riserbo sui propri orientamenti sessuali.
Due militari gayche hanno una relazione sessuale rischiano fino a due anni di carcere. È la dura punizione prevista dall’articolo 92-6 del Military Criminal Act del 1962, che considera il sesso tra due persone omosessuali, indipendentemente dalla consensualità, alla stregua di uno stupro.
Quando vengono arruolate, le reclute sono sottoposte a test fisici e mentali. I soldati che invece scelgono di fare coming out rischiano di vedere scritto sulla propria scheda la dicitura «disturbo della personalità». Un’etichetta indelebile, che alimenta discriminazioni e legittima gli abusi sui militari LGBTQ.
Sebbene l’omosessualità non sia illegale in Corea del Sud, rimane un tabù in una società in gran parte conservatrice. Ma qualcosa sta cambiando.
La Suprema Corte sudcoreana lo scorso 21 aprile ha emesso una sentenza storica contro il divieto previsto dal controverso articolo, ribaltando il verdetto di colpevolezza per due soldati, un tenente e un sorgente, accusati di aver avuto rapporti omosessuali nel 2016 mentre non erano in servizio. E quindi fuori dalla loro base militare.
L’anno successivo, il tenente era stato condannato a quattro mesi di reclusione e il sergente a tre mesi per aver violato il codice penale militare, con pena poi sospesa. Con la recente sentenza, la Suprema Corte ha quindi stabilito che l’articolo 92-6 non può essere applicato a due soldati che hanno un rapporto omosessuale consensuale, lontano dagli ambienti militari.
I 13 giudici hanno dichiarato che punire i due soldati violava la loro «autonomia sessuale» e il loro «diritto costituzionalmente garantito all’uguaglianza e alla dignità umana, così come il loro diritto a perseguire la felicità».
Adesso festeggiano i gruppi per i diritti umani che da sempre denunciano una «caccia alle streghe» contro i soldati gay e lottano contro la cultura maschilista e patriarcale dominante nell’esercito sudcoreano. Ma l’attenzione è alta sulle forze militari che potrebbero trovare nuova linfa vitale nel movimento antifemminista e nel conservatore Yoon Suk-yeol, che dal prossimo 10 maggio guiderà il governo di Seul.