Giovedì 16 giugno, circa 20 famiglie Masai sono state espulse dalla loro terra in nome della protezione della fauna selvatica e del turismo.
Queste popolazioni di pastori semi-nomadi vivono dal 1959 nella Riserva Naturale di Ngorongoro, patrimonio mondiale dell’UNESCO, nel nord della Tanzania.
Ma la crescita esponenziale della loro popolazione – e quella delle loro mandrie – è un rischio per la fauna selvatica, affermano le autorità.
In un comunicato diffuso il 15 giugno, nove esperti indipendenti nominati dall’ONU hanno denunciato il piano delle autorità tanzaniane di trasformare 1.500 km2 in un’area riservata ai safari e alla caccia. Secondo loro, la decisione è stata annunciata dal commissario regionale di Arusha dopo un incontro a porte chiuse e senza consultare i rappresentanti Masai.
Tuttavia, questo “santuario” porterebbe all’espulsione dei 70.000 abitanti di quattro villaggi, Ololosokwan, Oloirien, Kirtalo e Arash. Un’operazione descritta da Amnesty International come “sfratto forzato illegale”, “scioccante sia per la sua portata che per la sua brutalità”.
Per gli esperti dell’Onu, combinando i progetti di Ngorongoro e Loliondo, sono addirittura 150mila i Masai che rischiano di essere sfollati “senza il loro libero, preventivo e informato consenso”, aggiungendo che “ciò causerà danni irreparabili e potrebbe equivalere a espropriazione, sgombero forzato e sfollamento arbitrario proibiti dal diritto internazionale”.