giovedì, 21 Novembre 2024
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Via libera all’estradizione di Julian Assange: la Gran Bretagna cede alle pressioni statunitensi

Il governo britannico ha confermato la sorte di uno dei più famosi whistleblower al mondo, ora atteso negli Stati Uniti per l’avvio di un processo reclamato da oltre dieci anni

L’ordine di estradizione, firmato lo scorso 17 giugno dalla ministra dell’Interno britannica, Priti Patel, sembra aver decretato la fine della lunga battaglia per la liberazione di Julian Assange, fondatore della piattaforma online WikiLeaks, che dal 2010 è divenuto il simbolo della lotta per la libertà di stampa in tutto il mondo. L’approvazione della Home Secretaty britannica ha rappresentato l’ultimo passaggio necessario per confermare la decisione che già lo scorso aprile la Corte di Londra aveva formalmente approvato e che riguarda proprio il trasferimento del giornalista negli Stati Uniti, dove sarà processato con l’accusa di spionaggio e dove, in caso di condanna, potrebbe dover scontare 175 anni di carcere.

Le ragioni di questo tragico epilogo risalgono al 2010, quando attraverso WikiLeaks vennero diffusi oltre 250mila documenti segreti, contenenti rapporti confidenziali inviati al Dipartimento di stato americano. In questi, funzionari e ambasciatori rivelavano i dettagli delle operazioni diplomatiche condotte dagli Stati Uniti a partire dal 1966. Tra i più sconvolgenti, il video che mostra alcuni soldati uccidere da un elicottero un gruppo di civili disarmati in Iraq, tra cui anche due reporter dell’agenzia Reuters. In alcuni altri, invece, compaiono dati riguardanti gli alti numeri di vittime civili nelle guerre in Iraq e Afghanistan, oltre a testimonianze delle detenzioni arbitrarie di prigionieri afghani e pakistani nel campo di prigionia di Guantanamo.

Gli effetti della pubblicazione di queste informazioni anche da parte della stampa internazionale hanno comportato la richiesta da parte degli Stati Uniti per un processo al giornalista australiano, che, lo stesso anno, venne accusato di violenza sessuale in seguito a due denunce sporte in Svezia. Anche la richiesta di estradizione da parte svedese dovette fare i conti con l’ottenimento da parte di Assange dello status di rifugiato politico, riconosciutogli dal governo ecuadoriano, presso la cui ambasciata a Londra venne accolto dal 2012 al 2019. Quando la presidenza dell’Equador passò da Rafael Correa a Lenin Moreno, la protezione venne revocata e il fondatore di WikiLeaks si vide trasferito nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, a sud-est della capitale inglese, dov’è tuttora rinchiuso e dove sembra che le sue condizioni di salute si siano ulteriormente aggravate.

Sebbene le accuse svedesi siano decadute nel 2017, le autorità americane non hanno smesso di chiedere l’estrazione dell’attivista, nonostante tutte le difficoltà dovute proprio alla fragilità dell’uomo, a cui è stata diagnosticata la depressione.

La decisione, però, è stata presa e, com’era prevedibile, ha scatenato ondate di proteste in tutto il mondo. I sostenitori di Assange non intendono considerare questo verdetto come decisivo e promettono che non smetteranno di lottare in nome del diritto alla libertà di espressione, senza celare l’ipotesi di motivazioni politiche alla base della volontà di estradizione. Non solo, continueranno anche ad agire per vie legali, non escludendo la possibilità di sottoporre la questione alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.

Elena Consuelo Godi
Studentessa della facoltà di Economia e management internazionale
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