Migliaia di tunisini si sono riversati nelle piazze della capitale al grido di “Giù il Presidente”, “Rivolta contro il dittatore”, “Saied a casa”, come riporta Jeune Afrique. I dimostranti imputano al Presidente della Repubblica la difficile situazione in cui versa il Paese, con una crisi economica e un’inflazione senza precedenti.
Le proteste non sono acefale, ma sono organizzate da due forze politiche ascrivibili all’opposizione al regime di Saied. La prima di queste si chiama Fronte di salvezza nazionale e il suo rappresentante è il partito di ispirazione islamista Ennahda (“rinascita”) che, nella scalata al potere di Saied, è stato oggetto di una dura repressione. La seconda invece è il partito Neo-Dustur (“nuova Costituzione”), anti-islamista, ma anche contrario all’autoritarismo di stampo populista del Presidente.
La stampa indipendente tunisina ha sottolineato con stupore la vitalità del fronte dell’opposizione, come dimostrato dalla larga partecipazione alle proteste. Infatti, a seguito del congelamento delle attività del Parlamento e della presa dei pieni poteri del Presidente Saied del luglio 2021, la stragrande maggioranza dell’opposizione è stata indagata o arrestata. Il timore di ulteriori repressioni aveva fatto sì che le precedenti proteste scoppiate nel Paese fossero di carattere spontaneo o in genere meno strutturate.
Neanche in occasione della votazione del referendum costituzionale dello scorso luglio –referendum popolare volto ad approvare la nuova Costituzione– erano scesi in strada così tanti cittadini. Saied godeva infatti del consenso di una maggioranza silenziosa, disillusa nei confronti del parlamentarismo post-Primavera araba e desiderosa di stabilità politica e, principalmente, di benessere economico.
Tuttavia, il benessere economico tanto sperato non è arrivato. Le difficoltà della Tunisia, in crisi economica da almeno 10 anni, sono aumentate a causa della pandemia globale da Covid-19 e delle conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina. La diminuzione delle importazioni di derrate alimentari e di idrocarburi, di cui la Tunisia è fortemente dipendente, ha provocato un aumento dell’inflazione (+9%). Il dialogo con il Fondo Monetario Internazionale è aperto, ma l’impronta autoritaria del Presidente, insieme alla scarsa affidabilità dei conti pubblici, fa rallentare i negoziati.
Se non si troverà una soluzione alla crisi politica ed economica tunisina, il dramma si riverserà in Unione europea e, soprattutto, in Italia: è notizia di pochi giorni fa il naufragio al largo delle coste tunisine di una nave carica di migranti –sia cittadini tunisini sia dell’Africa Subsahariana– partita dal porto di Zarzis come riporta Al Araby.
A Zarzis sono scoppiate in seguito forti proteste cariche di indignazione e rabbia nei confronti della Guardia costiera tunisina che non sarebbe intervenuta nel salvataggio dei migranti. Il malcontento, dunque, sembrerebbe diffuso e in crescita in tutto il Paese.