Il quotidiano propone una carrellata di momenti che hanno caratterizzato il Governo di Giorgia Meloni sin dal suo insediamento a Palazzo Chigi, citando l’iniziale «scarso entusiasmo» mostrato dai vertici europei verso una leader che predicava “Dio, patria e famiglia”, e i cui partiti di coalizione «simpatizzavano con il Presidente Putin», per finire con il sostegno degli stessi vertici a quella che Politico definisce «la prima persona che Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, chiamerebbe se volesse parlare con l’Europa».
La Presidente del Consiglio è infatti riuscita a far passare come questioni interne «l’erosione delle libertà civili» in Italia, citate dal quotidiano in riferimento alle accuse di complotto rivolte dalla premier ai giudici italiani, che hanno definito alcune delle sue misure politiche «illegali», e i quali hanno di conseguenza ricevuto minacce di morte, ma anche in riferimento alla proibizione dei certificati di nascita per i bambini nati dall’inseminazione artificiale praticata da coppie omosessuali, così come alle azioni di censura verso giornali e Rai. Tutto questo, continua Politico, per l’Europa passa in secondo piano, in quanto Meloni «ha lavorato sodo per convincere i pezzi grossi del blocco di essere una partner su cui fare affidamento per quanto riguarda i temi cruciali a loro più cari». A questo si aggiunge il «minimizzare la sua retorica antieuropeista», in modo tale da evitare scontri con Bruxelles, spalleggiando al contempo l’Ucraina, dopo aver definito nel 2018 la vittoria di Putin come «l’inequivocabile volontà del popolo russo». A conferma del suo schieramento al fianco di Zelensky, ha rassicurato i leader europei, assicurandosi al contempo il loro plauso, quando ha convinto Orbán a dare il via libera a un pacchetto di aiuti all’Ucraina da 50 miliardi.
Tuttavia, se in Europa qualcuno la cita come modello per quanto riguarda il tema immigrazione, specialmente dopo il caso Albania e il trasporto di migranti irregolari ai centri di accoglienza nel paese balcanico, pratica definita illegale dai giudici italiani, lo stesso non può dirsi per gli Stati Uniti.
Steve Bannon, ex capo stratega di Donald Trump, ha infatti affermato che se il Presidente avesse bisogno di un interlocutore in Europa, chiamerebbe Le Pen o Orbán, in quanto Meloni si sarebbe troppo allontanata dalla sua «dura linea ultranazionalista, perseguita quando il suo partito aveva il 3% dei consensi». Se fosse invece Musk a dover contattare l’Europa, comporrebbe per primo il numero della premier italiana. Nonostante ciò, l’influenza meloniana attraverso Musk non sortirebbe lo stesso effetto con Trump, per temi quali il sostegno all’Ucraina, o la non imposizione dei dazi transfrontalieri sui prodotti dell’Unione.
Il quotidiano termina con un quesito a cui solo il futuro può dare risposta, un futuro che sembrerebbe piuttosto prossimo, visti «i nuovi venti che soffiano sull’Atlantico», e considerato il «movimento globale di populisti ultranazionalisti», un «fenomeno politico vincente» di cui Meloni è parte integrante. La domanda è se la premier continuerà il suo fair play con l’Unione Europea o la NATO, o se invece inizierà a «mostrare i muscoli» anche a livello internazionale, «sfidando lo status quo».