lunedì, 17 Novembre 2025
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Dalla crisi interna al confronto globale: la dimensione geopolitica della guerra in Sudan

Mentre i riflettori internazionali sono puntati su Gaza e sull’Ucraina, un’altra guerra devasta il cuore dell’Africa. In Sudan, dal 2023, ha luogo un conflitto sanguinoso che, giorno dopo giorno, vede la distruzione di città, famiglie e speranze. Come riportato dal quotidiano britannico, The Guardian, le ostilità hanno provocato 15.000 morti e lo sfollamento di 14 milioni di persone, trasformando la situazione del Paese in una delle più gravi crisi umanitarie del mondo. Dietro una tale tragedia si celano interessi regionali e globali che hanno reso il Sudan oggetto di una competizione per il controllo del Mar Rosso e delle risorse africane.

Per comprendere le dinamiche che oggi devastano il Paese, occorre partire dal colpo di stato realizzato nel 2021 dal generale Abdel Fattah al-Burhan e dal suo vice Mohamed Hamdan Dagalo. La presa di potere militare interruppe la transizione democratica iniziata ad aprile 2019 con lo scopo di rispondere alle richieste della popolazione.

Il crollo del governo civile vide i due generali, inizialmente alleati, dividersi il potere: al-Burhan prese il comando delle Forze Armate Sudanesi (SAF), mentre Dagalo assunse il controllo delle Forze di Supporto Rapido (RSF), un gruppo paramilitare.Le tensioni esplosero a seguito del tentativo di integrare le RSF nell’esercito regolare, un’iniziativa che trasformò la capitale Khartoum in un sanguinoso campo di battaglia per una guerra di potere.

Secondo quanto riportato dall’Associated Press, il Segretario Generale dell’ONU António Guterres ha sottolineato la rapida escalation del conflitto, le continue violenze che continuano a perpetrarsi nel Paese e le morti per malnutrizione e per epidemie di migliaia di civili, evidenziando l’assenza di interventi efficaci da parte della comunità internazionale.

Il conflitto ha assunto una dimensione internazionale: sul terreno sudanese cinque attori esterni, pur con interessi differenti, puntano al controllo geopolitico della regione. L’Egitto, per timore che l’instabilità del Sudan possa essere una possibile minaccia ai propri interessi lungo il fiume Nilo, sostiene l’esercito regolare. Gli Emirati Arabi Uniti si posizionano su due fronti: da un lato finanziano le mediazioni di pace, dall’altro, forniscono armi e sostegno economico alle RSF. L’internazionalizzazione del conflitto è evidente: Stati Uniti, Cina e Russia vogliono consolidare la propria influenza sul Mar Rosso, una rotta marittima cruciale per il commercio mondiale. In particolare, la prospettiva di Mosca di costruire una base navale a Port Sudan ha suscitato forti reazioni nei Paesi limitrofi.

La guerra civile in Sudan ha posto nuovamente al centro delle dinamiche globali l’Africa, continente che vede gli attori internazionali sfidarsi per le risorse e gli accessi marittimi nel Paese.  La tragedia in corso sembra mostrare la crescente competizione tra le potenze globali e la conseguente influenza nei conflitti civili, subordinando le vite umane e le condizioni dei civili agli interessi strategici e geopolitici degli attori coinvolti.

La presenza di potenze straniere rischia di prolungare la guerra civile e di trasformare il Sudan in un campo di battaglia in cui i rapporti e gli equilibri con ciascuna parte finiranno per influenzare il raggiungimento di una pace.

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