Com’è nato questo suo impegno?
Questo impegno è nato nell’88, tantissimi, tantissimi anni fa, per caso. Io sono stata avvicinata dall’ufficio stampa dell’Associazione che aveva bisogno di un volto conosciuto perché al tempo si occupava sia di assistenza alle famiglie povere sia di violenza contro le donne. E quindi io sono stata coinvolta da Maria Grazia Passeri, che è il cuore di questa associazione ed è quella che l’ha fondata, e mi è stato chiesto di partecipare a tutti i loro eventi. Quindi io all’inizio non ero presidente onorario, però nel giro di poco tempo lo sono diventata. È stato davvero un caso, soprattutto perché all’epoca se ne parlava pochissimo. Negli anni ’80, gli anni ’70, c’era proprio un buco di informazione su questo tipo di fenomeni, soprattutto quello della violenza contro le donne. Da Lagostena Bassi in poi erano rarissime le donne che si occupavano di ciò. Quindi Grazia ha preso in mano la situazione, ha detto “voglio aiutare le donne vittime di violenza”, e quindi ha fondato la sua associazione e poi mi ha coinvolto.
E c’è stato un momento particolare, oppure un incontro, che le ha fatto sentire l’urgenza di introdursi come parte attiva nel parlare di violenza sulle donne?
Beh, quando abbiamo parlato di casi, quando abbiamo parlato di numeri, di quello che succedeva alle donne in quegli anni, noi andavamo alla Polizia di Stato a stilare delle statistiche per vedere cosa era omicidio, cosa era femminicidio. Ci tengo a precisare che questa parola è nata molto tempo dopo, quindi per noi era “hanno ucciso delle donne, chi le ha uccise?” Perché questo termine non esisteva, esistevano gli omicidi, però quando abbiamo cominciato a capire che molte donne venivano uccise da mariti, da ex fidanzati – non dimentichiamo che l’Italia ha abolito il delitto d’onore soltanto nel 1981, per cui [il Paese] è un po’ indietro, è veramente tanto indietro -. Quando ho capito che nessuno si stava occupando di questo, e che non c’era alcuna figura nota coinvolta che prestasse il volto per questo tipo di cose, allora io ho detto “va bene, forse posso farlo io”, perché emotivamente sentivo che era una cosa importante, quindi l’ho fatto.
Lei cosa pensa che non si dica ancora abbastanza sul fenomeno della violenza domestica?
Allora, è un lungo discorso, diciamo che di passi avanti se ne sono fatti tanti, tante sono le cose successe, le leggi che si sono state modificate, il codice rosso… Ci sono purtroppo ancora tante cose che non funzionano. Se, da una parte, ad esempio, la polizia fa tanti passi giusti ma soggettivi — nel senso che moltissimi casi vengono risolti da poliziotti che vanno oltre il loro lavoro, perché sono persone che hanno empatia, prendono i casi a cuore, hanno sensibilità e temono che possano accadere cose — allora fanno anche di più di quello che dovrebbe essere il loro lavoro; dall’altra, invece, spesso le denunce non vengono prese in carico, molte donne che denunciano vengono lasciate sole, questo è quello che lamentano le donne, c’è protezione, non come dovrebbe essere, non come servirebbe e quindi, spingendo le donne a denunciare, noi non siamo ancora in grado di difenderle, quindi noi dovremmo veramente fermarci, cercare di capire: dallo stalking in su. Lo stalking non è un semplice fastidio: è un fenomeno molto complesso. Si tratta di un comportamento che limita la libertà personale ed è già un reato di per sé. Quando è estremamente violento e insistente, impedisce la vita normale delle persone; per questo dovrebbe essere affrontato prima che si verifichino conseguenze gravi. Ai primi segni di stalking — anche quelli verbali ma aggressivi — si dovrebbe intervenire tempestivamente, perché altrimenti non abbiamo altro modo se non far scappare le donne. Sono fondamentali la tracciabilità, il 15-22 e la denuncia. Avere una storia tracciata in modo che la polizia, che i carabinieri sappiano già qual è la persona, che cosa sta succedendo, ma bisogna agire molto più velocemente, quindi eliminare la burocrazia, eliminare le lentezze, lavorare subito le denunce, sono tante le cose, non sottovalutare i rischi… e qui la cosa importante era quella che diceva il giudice Fabio Roia del Consiglio Superiore della Magistratura di Milano che diceva le istituzioni vanno formate, perché chi si occupa di violenza contro le donne deve avere empatia per questo tipo di tematica, non può essere lasciata così. Quindi vanno formati dai magistrati, la polizia, i carabinieri, gli assistenti sociali, tutto il mondo che ruota intorno alla violenza contro le donne va formato, e quindi insomma dei passi ce ne sono ancora tanti da fare. Queste donne proteggiamole, se le spingiamo, proteggiamole, aiutiamole a ricostruirsi una vita, donne che non trovano lavoro, che hanno figli piccoli, che non sanno dove andare, e questo non è poco. Quindi c’è ancora tanto da dire sulla violenza domestica, e soprattutto il giudizio, quello deve essere eliminato. La gente deve imparare a non giudicare le donne che vivono storie di violenza, perché può capitare a chiunque, indipendentemente dall’intelligenza o dalla debolezza. Se parliamo di fragilità, questa si nasconde spesso dietro un sentimento, e ognuno di noi è capace di provare emozioni. Quando le proviamo, è difficile riconoscere un mentitore; non è semplice, e molte sono le complessità da affrontare.


