giovedì, 29 Maggio 2025
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Oltre i confini del sapere: Harvard priva dei suoi studenti internazionali

La decisione di revocare il programma SEVP scuote un campus d’élite e apre una crisi che travalica i confini degli Stati Uniti, minando la fiducia in un’educazione veramente globale.

Il 22 maggio 2025, il Dipartimento per la Sicurezza Interna degli Stati Uniti ha ufficializzato la revoca della certificazione del Student and Exchange Visitor Program (SEVP) all’Università di Harvard, impedendo l’iscrizione di nuovi studenti stranieri. Una mossa tanto tecnica nell’apparenza quanto esplosiva negli effetti, che priva la celebre istituzione di oltre 6.700 talenti provenienti da più di 140 Paesi.

Secondo quanto riporta la BBC, il provvedimento si fonda su accuse di carenze nelle garanzie per la sicurezza degli studenti ebrei, presunta tolleranza verso manifestazioni pro-palestinesi e sospetti legami accademici con istituzioni controllate dallo Stato cinese — accuse, tuttavia, non supportate da prove indipendenti. Dietro l’apparenza di un contenzioso amministrativo, tuttavia, si profila un attacco frontale all’autonomia universitaria e alla libertà accademica, principi che hanno da sempre costituito il fiore all’occhiello del sistema formativo statunitense.

Secondo la BBC, tra gli studenti internazionali prevale un sentimento di smarrimento. «Non ci siamo mai fermati a pensare che un giorno il nostro percorso potesse essere stroncato da un decreto politico», racconta uno studente di ingegneria, esprimendo il senso di tradimento che attraversa l’intero campus.

La prospettiva di doversi trasferire in fretta, di rivedere piani di carriera e di affrontare iter burocratici imprevisti ha gettato molti in uno stato di ansia profonda.

La consapevolezza che l’istruzione possa essere ostaggio di strategie politiche genera pertanto inquietudine e rabbia, ma anche una più ampia riflessione sul ruolo delle università nel custodire — e proteggere — le connessioni globali.

Sebbene le ricadute economiche siano significative, con perdite stimate in centinaia di milioni di dollari, il vero danno è più profondo e meno quantificabile: è l’impoverimento di un ecosistema intellettuale. Le università come Harvard sono luoghi dove si costruiscono ponti tra discipline, storie e popoli. Recidere quei legami significa rinunciare a una forma di diplomazia silenziosa ma potentissima: quella del sapere condiviso.

Il presidente Alan Garber ha definito la revoca «una misura illegittima e profondamente dannosa» e ha annunciato l’intenzione di impugnarla legalmente. Ma la posta in gioco va ben oltre le aule del tribunale. In un mondo che si scopre ogni giorno più interconnesso, colpire la mobilità accademica equivale a minare le basi stesse della cooperazione e della fiducia internazionale.

Il caso Harvard diventa così un paradigma. Non è solo l’università a essere sotto attacco, ma l’idea stessa di un’educazione che unisce, integra e ispira. La libertà accademica non è una formula retorica: è una condizione necessaria per affrontare insieme le sfide del nostro tempo.

In un’epoca di muri e confini, le università dovrebbero continuare a essere porte aperte sul mondo. Difenderle significa difendere la possibilità di un futuro più connesso, più umano, più giusto.

Angelica Di Carlantonio
Studentessa della facoltà di Investigazione, criminalità e sicurezza internazionale
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