Durante la Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani (UNOC), tenutasi a Lisbona tra il 27 giugno e il 1° luglio 2022, uno dei temi che ha maggiormente catalizzato l’attenzione dei 21 capi di Stato e di governo presenti è stata la necessità di leggi per la protezione degli ecosistemi marini. In particolare, si è discusso della mancanza di specifiche norme che regolino le trivellazioni sui fondali, il cui impatto sull’ambiente si prospetta per il futuro tutt’altro che irrilevante.
Principale promotore della questione è stato il presidente francese, Emmanuel Macron, che, nel corso dell’evento, ha sottolineato l’importanza di un passo congiunto verso una maggiore sostenibilità delle attività volte a sfruttare le immense risorse di cui i fondali sono ricchi. Nel suo intervento, il leader ha parlato del dovere comune di porre in essere attività che non mettano a rischio la biodiversità e l’ecosistema, con cui rimpiazzare le pratiche correnti.
Il riferimento è a tutte le operazioni che prevedono l’impiego di pesanti macchinari per l’aspirazione dei cosiddetti “noduli”, piccole rocce da cui estrarre minerali come il cobalto, impiegato per la produzione di batterie.
L’Autorità Internazionale per i Fondali Marini (ISA), organizzazione indipendente fondata dall’Onu, ha rinnovato il proprio impegno a preservare le acque fuori da qualsiasi giurisdizione nazionale dalle attività estrattive. Finché, infatti, non sarà trovato un accordo, sarà impossibile per qualunque soggetto considerare il loro sfruttamento.
L’inviato speciale delle Nazioni Unite per gli oceani, Peter Thomson, ha affermato che presto saranno rese note le norme con cui rispondere alle preoccupazioni sollevate. Eppure, vista la drammaticità dei dati raccolti e presentati durante la Conferenza, parole di questo tipo non bastano certamente per credere che i risultati di questo incontro rappresentino una svolta per la sorte degli oceani. Serve un maggiore impegno da parte di tutti.
Gli stati non si trovano solo di fronte alla necessità di regolamentare le attività di raschiamento dei fondali, ma anche ad ulteriori minacce emerse per effetto dei cambiamenti climatici e dell’azione umana, come l’acidificazione degli oceani. Questo processo, dovuto all’assorbimento dell’inquinamento di CO2, mette a rischio non solo le catene alimentari acquatiche ma anche la capacità dell’oceano di assimilare carbonio. Il perdurare di questa situazione inciderà anche sull’ecosistema marino, compromettendo la conservazione delle barriere coralline.
Un intervento risulta, quindi, necessario per tentare di agire in tempo e scongiurare l’irreversibilità di un peggioramento che è ormai tangibile. Infatti, secondo un rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), in base all’andamento attuale, i rifiuti in plastica annui potrebbero triplicarsi fino a raggiungere quota un miliardo di tonnellate entro il 2060.
Temporeggiare non è più un’opzione contemplata, serve al più presto un piano per reagire, a cui l’intera comunità globale è chiamata a partecipare vista la responsabilità di chiunque. In quest’ottica sono da interpretare le parole del rappresentante delle Fiji presente a Lisbona, secondo cui il futuro degli oceani sia nell’interesse di chiunque respiri ossigeno.