Ammonta a 125.000 euro il premio Cervantes del quale è stata insignita giovedì 11 novembre la scrittrice uruguaiana Cristina Peri Rossi, di 79 anni. Ma a livello morale, questa vincita vale sicuramente di più.
Solo cinque donne prima di lei avevano raggiunto tale traguardo. Parliamo del massimo riconoscimento della letteratura in lingua spagnola, che viene concesso ogni anno ad uno scrittore spagnolo o latino-americano. Come spiegatoci dal ministro della Cultura, Miquel Iceta, il lavoro della Peri Rossi si è sempre incentrato su «la condizione della donna e la sessualità», che l’ha resa negli anni una vera e propria portavoce della rivendicazione del ruolo attivo della donna nella società.
«Sono sempre stata molto critica sulla vita politica e sociale», ha asserito lei, nel momento in cui, dopo averle assegnato il premio, la giuria ha elogiato la ricercatezza della sua scrittura spiccatamente critica. «La realtà mi ha sempre generato disappunto».
«Scrivo mettendomi nei panni dei “perdenti”»
Perché ricercatezza, quindi? «Ho esplorato qualsiasi genere», ha spiegato la scrittrice. «Tutte le mie opere possono essere spiegate con il mio desiderio di approfondire l’analisi sullo squilibrio delle complesse relazioni personali».
Figlia di emigranti italiani, Cristina Peri Rossi fu costretta ad abbandonare la sua città natale, Monteviedo, quando aveva 31 anni. Tutto ciò, pochi mesi prima del colpo di stato militare che scatenò una delle più atroci depressioni dell’America Latina tra il 1973 e il 1985.
«Ho rinunciato ad una carriera universitaria brillante e ad un futuro letterario che era già assicurato», raccontò la donna al suo arrivo in Spagna, mentre ricordava il perché della sua fuga dall’Uruguay. «Ma sapevo con certezza che il mio futuro nel paese non sarebbe stato lo stesso dopo il colpo di stato, ed ebbi delle soffiate che mi permisero di appurare che la mia vita era in pericolo».
Peri Rossi forma parte di una generazione di scrittrici latino-americane alle quali hanno provato a “spegnere la voce” per due ragioni: perché erano esiliate e perché erano donne. Parliamo di un’epoca, quella del XX secolo, nella quale autrici come Elena Garro, María Luisa Bombal, Rosario Castellanos o Sara Gallardo erano tagliate fuori dai canoni ufficiali del mondo letterario. Tuttavia, ciò non ha impedito all’uruguaiana di farsi strada nel mondo della scrittura, e la difesa degli immigrati, delle donne e degli omosessuali è stata il fulcro sia delle sue opere letterarie che del suo impegno civico.
«Scrivo mettendomi nei panni dei “perdenti”», ha affermato quando ha ricevuto il premio Leowe per Playstation (Visor, 2008), un libro di poesia narrativa lontano dalle convenzioni della cosiddetta “alta cultura” e pieno delle ambientazioni più disparate, che spaziano da un pronto soccorso ad un sex shop.