Sebbene la Tunisia rappresentasse le migliori speranze di democratizzazione in Medio Oriente, da 9 mesi è testimone di un lento colpo di Stato, in cui il presidente ha chiuso il parlamento con carri armati, sospeso la Costituzione e ha sciolto il Consiglio Superiore della Magistratura. La domanda, secondo il Washington Post, resta sempre la stessa: Kais Saied è un aspirante dittatore? Cosa dovrebbe fare Washington?
Questo è ciò che Shadi Hamid, membro del Center for Middle East Policy presso la Brookings Institution, e un professore associato e non residente dello stesso istituto, Sharan Grewal, hanno cercato di rispondere in un rapporto congiunto sul Washington Post.
I due ricercatori hanno sottolineato che il presidente tunisino Kais Saied si è rivoltato contro le istituzioni democratiche, ma la cosa peggiore che ha fatto è stata – forse – il sequestro della Commissione elettorale indipendente, in quanto ciò gli avrebbe permesso di consolidare il suo governo.
Sebbene il mondo guardi con apprensione gli sviluppi in Ucraini, l’attuale crisi in Tunisia offre l’opportunità di inviare un segnale forte per difendere i valori democratici, come affermano i ricercatori. Inoltre, i ricercatori hanno spiegato che i funzionari statunitensi sono stati riluttanti a fare molta pressione su Saied e hanno ritenuto che il suo colpo di stato del luglio 2021 fosse ampiamente popolare, poiché è arrivato in un momento in cui molti tunisini erano stanchi della rivalità interna tra i partiti politici e un parlamento che non è stato in grado di ottenere poco di fronte al collasso dell’economia del Paese, ed è questo che ha spinto Saied a impegnarsi a scavalcare le élite politiche e in qualche modo interagire con il popolo tunisino e correggere lo squilibrio, ma non lo ha fatto, secondo gli autori.
Ciò ha spinto i ricercatori a sollecitare l’amministrazione statunitense a muoversi per cercare un modo per affrontare la questione tunisina prima che Saied riuscisse a consolidare il suo potere e mettere fine all’intera democrazia tunisina. Gli autori elogiano, a questo proposito, la proposta del Dipartimento di Stato americano di dimezzare gli aiuti militari ed economici alla Tunisia, a meno che Saied non persegua una riforma “trasparente e globale” che includa partiti politici, sindacati e società civile. Hanno aggiunto che Saied aveva negoziato, nell’ultimo anno, con il Fondo monetario internazionale su un piano multimiliardario che avrebbe salvato la Tunisia da una difficile situazione finanziaria. L’approvazione di un prestito del genere richiederà alla Tunisia di attuare un “piano di riforma per affrontare i problemi relativi ai sussidi e all’alto salario del settore pubblico, nonché alle società governative in perdita”.
È ora però giunto il momento che Saied avvii un dialogo nazionale con tutti i principali partiti politici e che trovi consenso su una tabella di marcia per tornare alla democrazia, con un’enfasi sull’attuazione della suddetta tabella di marcia.
A meno che Washington non svolga un ruolo fondamentale per cercare una soluzione e non si renda conto che la democrazia faccia bene a loro ed anche ai tunisini, la Tunisia ritornerà sicuramente ai giorni della vecchia dittatura.