giovedì, 21 Novembre 2024
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Papa Francesco e il kirchnerismo: quando il governo voleva condannarlo alla galera

Durante una conversazione con alcuni gesuiti in Ungheria, papa Francesco ha rivelato come il suo operato fu messo in dubbio durante la dittatura (1976-1989)

Il governo di Cristina Kirchner ha dato indicazioni a tre giudici affinché potessero condannare il pontefice, per un fatto risalente a quando era ancora l’arcivescovo di Buenos Aires.

Il Pontefice ha raccontato a 32 gesuiti i dettagli di una lunga dichiarazione giudiziaria alla quale fu sottoposto per il sequestro nel 1976 dei sacerdoti Orlando Yorio e Ferenc Jalics, accusati dai militari di aver avuto legami con la guerriglia.

Come riporta El Pais, il dialogo con i gesuiti è avvenuto il 29 aprile scorso ed è stato raccolto dalla rivista di gesuiti italiani La Civiltà Cattolica. Il pontefice confessa «alcuni componenti del governo volevano tagliarmi la testa e hanno tirato fuori non solo la questione di Jalics, ma hanno messo in dubbio tutto il mio modo di agire durante la dittatura».

«Mi hanno dato la possibilità di scegliere il luogo in cui condurre l’interrogatorio. Ho scelto di farlo nel palazzo episcopale. È durato 4 ore e 10 minuti. Uno dei giudici insisteva molto sul mio comportamento. Io rispondevo sempre dicendo la verità. Ma per me l’unica domanda seria e ben fondata era quella dell’avvocato che apparteneva al Partito Comunista. E grazie a questa domanda le cose si sono chiarite. Alla fine, la mia innocenza è stata provata. Ma in quel processo non si è parlato quasi nulla di Jalics, ma di altri casi di persone che avevano chiesto aiuto», ha detto il Papa, citato da La Civiltà Cattolica. «Quando Jalics e Yorio furono catturati dai militari, la situazione che si viveva in Argentina era confusa e non era affatto chiaro cosa si dovesse fare. Ho fatto quello che sentivo di dover fare per difenderli. È stata una situazione molto dolorosa», ha aggiunto.

Quando Bergoglio è stato eletto papa nel 2013 erano molti coloro che in Argentina ritenevano che non avesse fatto abbastanza per i detenuti scomparsi. Alcuni lo accusavano addirittura di complicità.

Il ruolo che l’allora arcivescovo ricopriva negli anni settanta fa parte di un ampio studio condotto dalla Chiesa Cattolica, che ha realizzato grazie ai molteplici archivi presenti nel palazzo episcopale di Buenos Aires e al Vaticano. Il risultato di questo lavoro, dal titolo «La verità li renderà liberi», è stato pubblicato quest’anno in due volumi (un terzo è in redazione). In una intervista con El Pais, il relatore della ricerca Carlos Marìa Galli, ha detto che «la Chiesa avrebbe dovuto fare di più per evitare così tante uccisioni», ma ha negato che ci fosse stata complicità da parte del pontefice. Sulla persona di Bergoglio, ha detto che gli attacchi contro di lui erano un pò armati perchè funzionali al governo di turno, ovvero a quello di Cristina Kirchner. Infatti quando lo considerarono un avversario, cominciarono ad attaccarlo.

Papa Francesco ha continuato il suo racconto ai gesuiti affermando che «i padri Jalics e Yorio sono stati fatti prigionieri, ma erano innocenti. Non trovarono nulla con cui accusarli, ma dovettero scontare nove mesi di carcere, subendo minacce e torture. Poi sono stati liberati, ma queste cose lasciano ferite profonde. Jalics è venuto a trovarmi immediatamente, e abbiamo chiacchierato. Gli ho consigliato di andare da sua madre negli Stati Uniti. La situazione era davvero troppo incerta e confusa. Poi nacque la leggenda che ero stato io a consegnarli in prigione». Per concludere il suo discorso con i gesuiti ungheresi li mandò a leggere «La verità li renderà liberi»: “Lì potrete trovare la verità su questo caso”.

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