«Gli Stati Uniti di Trump sono passati dall’essere difensori del diritto penale internazionale, a perpetratori di ingiustizia. Tutto ciò è davvero inquietante». Così esordisce Janina Dill, professoressa dell’Università di Oxford e Co-direttrice del programma di Etica, Legge e Conflitti Armati, intervistata dalla CNN.
E a dissipare gli ultimi dubbi sulla gravità del quadro, arriva l’ultimissima dalla Casa Bianca. Trump ha deciso di emettere delle sanzioni contro la Corte Penale Internazionale, dopo il mandato di cattura spiccato da L’Aia nei confronti del Presidente israeliano Netanyahu e del suo ex Ministro della Difesa Yoav Gallant, accusati di crimini di guerra e contro l’umanità. Un mandato di cattura era stato spiccato anche per Mohammed Deif, ufficiale di Hamas accusato da Israele di essere una delle menti dietro l’attacco del 7 ottobre, e successivamente ucciso da quest’ultimo durante un bombardamento lo scorso anno.
Secondo le parole di Trump, riportate dalla CNN, la Corte Penale Internazionale avrebbe «abusato del suo potere, spiccando mandati di arresto infondati», azioni che «creano un precedente pericoloso» e che «rappresentano una grandissima minaccia alla sicurezza nazionale».
La conseguenza di queste sanzioni impedirà ai funzionari coinvolti, e alle loro famiglie, di accedere agli USA, con annesso congelamento dei beni.
La Corte ha risposto con una ferma condanna alle sanzioni, sostenendo che continuerà a garantire «giustizia e speranza a milioni di vittime innocenti di atrocità in tutto il mondo».
Una risposta chiara è arrivata anche dall’ONU e da una lista di 79 paesi, che hanno firmato una dichiarazione congiunta contro le drastiche misure trumpiane. Tuttavia, si tratta di una lista che vede due grandi assenti: l’Ungheria di Orbán e l’Italia di Meloni.
Dopo una dichiarazione del tycoon secondo cui “i nostri alleati (degli USA, n.d.r.) si opporranno” a qualsiasi sanzione della CPI contro Stati Uniti e Israele, gli assetti sembrano prendere una forma sempre più delineata, con un’Italia che parrebbe schierarsi dalla parte di quello che sta diventando per molti paesi un nemico internazionale da cui doversi difendere. Come riporta Reuters, infatti, lo stesso Papa Francesco ha recentemente condannato l’ondata di deportazioni di massa che Trump sta mettendo in atto, in una lettera ai vescovi cattolici statunitensi nella quale afferma che la criminalizzazione dei migranti e l’adozione di misure basate sull’uso della forza «è una disgrazia». Inoltre, la lettera sembra anche rispondere indirettamente all’affermazione fatta lo scorso mese dal Vicepresidente JD Vance, il quale si appella al concetto teologico dell’“ordo amoris”, asserendo che «i cattolici devono dare la priorità ai non-immigrati». Il Papa replica che il vero “ordo amoris” riguarda una fratellanza aperta a tutti, senza eccezioni.
E mentre Netanyahu propone l’Arabia Saudita come destinazione finale per l’ennesima deportazione di massa (questa vola dei palestinesi), volta a evacuare Gaza per permettere l’avvio dei lavori della nuova “Riviera Mediorientale”, arriva la risposta del Ministro degli Esteri saudita, il quale afferma, in una nota riportata da Al Jazeera, che «i palestinesi hanno diritto alla loro terra, non sono immigrati e non possono essere espulsi quando la brutale occupazione di Israele lo desidera».