Nella penultima settimana di febbraio, a un giorno di distanza l’uno dall’altro, si sono tenuti due summit differenti, su due fronti opposti, con obiettivi non proprio convergenti. Il primo all’Eliseo, il secondo a Riad. Il primo per progettare una difesa, il secondo un piano d’azione. Gli attori coinvolti hanno un unico anello di congiunzione: gli Stati Uniti.
Secondo Euronews, Il vertice informale tenutosi a Parigi ha visto la partecipazione di alcuni paesi europei con l’esclusione di molti altri, scelta che è stata criticata da più fronti, tra cui l’Italia. Il Presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa ha però precisato «si tratta solo dell’inizio di un processo che continuerà con il coinvolgimento di tutti i paesi impegnati per la pace e la sicurezza dell’Europa». All’incontro hanno partecipato Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Polonia, Spagna, Olanda e Danimarca, insieme al Segretario Generale della NATO e alle più importanti personalità delle istituzioni europee. L’obiettivo è quello di trovare nel minor tempo possibile una risposta in vista dei negoziati imminenti tra Putin e Trump. Il tavolo della controparte è servito invece proprio a questo, a preparare la strada per gli accordi tra Russia e Stati Uniti sul futuro dell’Ucraina dopo la guerra, e non solo. Il vertice, come riporta la CNN, si è tenuto infatti non casualmente a Riad, in Arabia Saudita, paese che spera di avere ben più di una voce in capitolo nel futuro post-guerra di Gaza. Mohammed bin Salman, il principe saudita, è di fatto uno dei pochi ad essere «in così buoni rapporti sia con Trump che con Putin» ha affermato Ali Shihabi, commentatore politico ed economico dell’Arabia Saudita. Inoltre, il principe ha da poco ricevuto anche la visita di Giorgia Meloni, a sottolineare come cerchi di mantenere salde relazioni con l’Occidente. Tuttavia, quest’ultimo risulta tagliato fuori da qualsivoglia multilateralismo: la posizione adottata dagli Stati Uniti è infatti fortemente strategica, volta a rendere il paese un vero e proprio anello di congiunzione tra l’Alleanza atlantica e le potenze oltreoceano.
Lavrov e Rubio hanno pertanto discusso sul futuro dell’Ucraina, ma in assenza di Zelenskyy, il quale ha fatto sapere che senza il coinvolgimento di Kyiv «non si otterrà alcun risultato», come riporta Politico.
Dall’altra parte dell’oceano, invece, non sembra ancora arrivare una voce unanime, tra chi ritiene che sia «inappropriato e prematuro» parlare di una “peace-keeping force” europea in Ucraina, per dirla come Scholz, o chi come Tusk «non manderà truppe polacche in Ucraina», ma «sosterrà politicamente e in termini di logistica» i paesi che vorranno farlo. Orbán, dal canto suo, guarda da lontano e parla di un “losers’ club” (club di perdenti, n.d.r.) e di un’Europa pro-guerra, che avrebbe dovuto rispondere agli iniziali negoziati di pace statunitensi. Riguardo quest’ultimo punto, l’ufficio di Zelensky sollecita la nomina immediata da parte dell’Europa di un rappresentante che prenda parte al tavolo dei negoziati, evitando così che il continente rimanga escluso. Ciononostante, quello degli USA con l’Europa è una modalità di confronto a somma zero: chi perde, perde tutto.