La notte tra il 25 e il 26 maggio 2025 segna un passaggio cruciale nel conflitto ucraino: 355 droni e nove missili da crociera lanciati dalla Russia hanno squarciato il cielo su Khmelnytskyi, Odesa e altre regioni strategiche, infliggendo danni ingenti a infrastrutture civili e militari. È stato, nelle parole delle autorità di Kiev, «il più grande assalto con droni della guerra». Ma se sul terreno il combattimento si è fatto ancor più feroce, sul fronte diplomatico si è consumata una battaglia di numeri minori, quella delle parole, i nuovi proiettili della politica globale.
Secondo quanto riporta Reuters, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha commentato l’attacco con una veemenza inusitata, definendo Vladimir Putin «completamente impazzito» e annunciando di «valutare assolutamente» l’imposizione di nuove sanzioni contro Mosca. In un solo tweet su Truth Social, Trump ha mescolato indignazione e strategia politica: da un lato ha denunciato un’aggressione senza precedenti, dall’altro ha invocato una risposta più dura e compatta da parte dell’Occidente.
La risposta di Mosca, secondo quanto riferisce Al Jazeera, è arrivata attraverso il portavoce Dmitry Peskov con toni apparentemente pacati: un «sovraccarico emotivo» avrebbe spinto Trump a deviare dai consueti binari della diplomazia. Eppure, come in un gioco di specchi, la minimizzazione russa cela a sua volta un messaggio strategico: trasformare l’offesa in debolezza dell’avversario, rafforzando la narrativa di un’Estero impietoso e incoerente.
Dietro questo scambio si gioca una partita che va oltre l’impatto immediato di droni e missili: è la tenuta del consenso interno, la credibilità delle istituzioni occidentali e la capacità di far fronte a una minaccia ibrida dove la disinformazione si salda alla realtà delle armi. Trump ricalca la tradizione populista di mostrare fermezza contro il «nemico esterno», ma corre il rischio di sparigliare i rapporti con i suoi stessi partner europei, ancora titubanti sul livello di escalation da sostenere. Dall’altro, il Cremlino non rinuncia a dipingere il mondo libero come instabile e impulsivo, un’immagine che serve a cementare il nazionalismo interno e a erodere la coesione degli avversari.
Mentre Bruxelles e Londra seguono i passi di Washington con sanzioni proprie – spesso più simboliche che incisive sul piano economico – la vera posta in gioco rimane l’efficacia di un’azione congiunta. Senza un fronte occidentale saldo, ogni nuova misura punitiva rischia di risultare un colpo nell’acqua, utile solo a imprigionare Mosca in una spirale di propaganda, ma incapace di alterare la dinamica del conflitto.
Se la posta in gioco è la credibilità delle democrazie occidentali e la sicurezza duratura del continente, allora la vera sfida non si combatte soltanto sul terreno di battaglia, ma nel campo delle idee e delle percezioni. In un’epoca in cui l’informazione viaggia tanto rapida quanto i droni, chi saprà decostruire le provocazioni e tradurre le parole in politiche concrete detiene in realtà la bussola morale ed efficace del sistema internazionale.