I negoziati per la ripresa del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) sono iniziati ad aprile del 2021 con un duplice obiettivo: reinserire gli Stati Uniti nell’accordo, dopo che ne erano usciti unilateralmente nel 2018 con l’amministrazione di Trump; limitare concretamente il programma nucleare iraniano all’ambito civile, sospendendo in cambio le sanzioni economiche imposte da Stati Uniti, Unione Europea e Nazioni Unite.
A giugno, dopo sei turni di trattative, i colloqui vengono sospesi per permettere all’Iran di affrontare, con maggior tranquillità, le elezioni governative previste per il 5 agosto: con il nuovo governo conservatore, guidato da Ebrahim Raisi, il 29 novembre riprendono le trattative all’hotel Coburg di Vienna.
Al tavolo dei negoziati, sono presenti le delegazioni dei rappresentanti di Iran, Russia, Cina, Regno Unito, Francia, Germania ed dell’Unione Europea: anche gli Stati Uniti partecipano, ma solo indirettamente, dato che il dialogo con la controparte iraniana avviene solo attraverso la mediazione degli altri rappresentanti.
Prima dell’inizio dei colloqui, è stato chiesto a Bagheri Kani, capo della delegazione iraniana, di stimare la durata delle trattative: ha affermato che nonostante vi sia l’impegno concreto di creare un quadro per i negoziati, è impossibile fare previsioni.
Questo perché le finalità, con cui partecipano i vari Stati al tavolo delle trattative, sono molto diverse: la priorità per l’Iran è ottenere la revoca di tutte le sanzioni imposte da Trump e avere la garanzia che gli Stati Uniti non escano più dall’accordo; mentre per la Casa Bianca e l’Unione Europea è fondamentale contenere il programma nucleare iraniano ed assicurarsi, inoltre, che sia usato solo a fini pacifici e non militari.
A rendere ancora più complesso il contesto in cui si si stanno svolgendo i colloqui, vi è la posizione di Israele, che sta facendo pressioni, attraverso gli storici alleati, per cercare di impedire la riabilitazione internazionale dell’Iran, suo principale antagonista nella scacchiera geopolitica regionale.
Ne è testimonianza la visita nel giorno dell’inizio dei colloqui di Vienna, da parte di Yair Lapid, ministro degli Esteri israeliano, all’omologa britannica Liz Truss.
Dopo l’incontro hanno pubblicato un comunicato stampa sul Daily Telegraph, quotidiano britannico, per rendere ufficiale l’accordo sul nuovo piano strategico, programmato per il prossimo decennio, che abbraccia diversi ambiti come cybersicurezza, tecnologia, commercio e difesa.
Si sono trovati in sintonia sulla necessità di impedire all’Iran di diventare una potenza nucleare, dichiarando che “Israele e il Regno Unito sono gli amici più stretti e oggi lo siamo ancora di più. Insieme assicuriamo che il futuro sia definito dalle democrazie liberali che credono nella libertà e nell’equità.”
Il quarto giorno dei colloqui, il 2 dicembre, arrivano le prime dichiarazioni dalle parti: il Ministero degli esteri iraniano Hossein Amirabdollahian afferma che”Siamo andati a Vienna con seria determinazione, ma non siamo ottimisti sulla volontà e l’intenzione degli Stati Uniti e delle tre parti europee dell’accordo“; mentre il segretario di Stato americano Blinken ha dichiarato che “non è troppo tardi per l’Iran per invertire la rotta e impegnarsi in modo significativo” .