giovedì, 21 Novembre 2024
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Washington accusa Pechino di voler “minare il sistema giudiziario statunitense”

Lo scorso lunedì gli Stati Uniti hanno accusato la Cina di essere coinvolta in tre casi in cui presunti agenti dell'intelligence cinese avrebbero cercato di interferire con l'azione giudiziaria di un'importante società di telecomunicazioni cinese

Lo scorso lunedì Merrick Garland, procuratore generale degli Stati Uniti, ha accusato lo Stato cinese di cercare di “minare il sistema giudiziario” degli Stati Uniti, annunciando accuse contro 13 cittadini cinesi che avrebbero lavorato per i servizi segreti di Pechino.

Merrick Garland ha descritto in dettaglio tre casi distinti in cui presunti agenti dei servizi segreti cinesi hanno molestato un loro connazionale negli Stati Uniti, hanno cercato di interferire con l’azione penale di un’importante società di telecomunicazioni cinese – presumibilmente il gigante Huawei – e hanno esercitato pressioni su ricercatori statunitensi affinché lavorassero per la Cina.

Questi casi dimostrano che «lo Stato cinese ha cercato di interferire con i diritti e le libertà delle persone negli Stati Uniti e di minare il nostro sistema giudiziario che protegge tali diritti», ha dichiarato Garland in una conferenza stampa.

«Il Dipartimento di Giustizia non tollererà alcun tentativo da parte di una potenza straniera di minare lo stato di diritto su cui si fonda la nostra democrazia», ha aggiunto, mentre due degli imputati sono stati arrestati giovedì a New York.

Tra i casi citati da Merrick Garland c’è quello di sette uomini cinesi accusati di aver tentato di costringere un loro connazionale a tornare in Cina nell’ambito di una campagna di rimpatrio forzato da parte di Pechino.

Avrebbero monitorato e molestato il cittadino cinese, presentato dalla magistratura statunitense con l’identità fittizia di John Doe-1 per proteggerne l’anonimato, e la sua famiglia nell’ambito dell’operazione “Fox Hunt”, che coinvolge “squadre di rimpatrio” clandestine con l’obiettivo di costringere gli espatriati a tornare in Cina.

Pechino presenta questa operazione come una strategia anticorruzione, assicurando che i suoi servizi rispettano le leggi internazionali quando viaggiano all’estero.

In un secondo caso, due presunti agenti dei servizi segreti cinesi sono stati accusati di aver tentato di ostacolare un’azione legale degli Stati Uniti contro una società di telecomunicazioni cinese, probabilmente Huawei.

Secondo le autorità statunitensi, i due avrebbero architettato un piano per «rubare documenti e altre informazioni» ai pubblici ministeri, compreso il pagamento di «una tangente di 41.000 dollari in Bitcoin a un dipendente del governo statunitense». I presunti agenti pensavano di aver reclutato il dipendente per la Cina, ma in realtà si trattava di un agente che lavorava per l’FBI.

Nel terzo caso, quattro cittadini cinesi sono stati accusati «in relazione a una campagna di intelligence di lunga durata che mira a rendere individui negli Stati agenti della Repubblica Popolare Cinese». Secondo le autorità statunitensi, dal 2008 al 2018 i quattro avrebbero avvicinato professori universitari e un ex agente federale.

Interrogato durante la conferenza stampa di lunedì scorso, il giorno dopo la terza storica incoronazione di Xi Jinping, il direttore dell’FBI Christopher Wray ha affermato che «se il governo cinese e il Partito Comunista Cinese seguitano a violare le nostre leggi, continueranno a imbattersi nell’FBI», ha dichiarato.

Martina Tominic
Studentessa della Facoltà di Economia.
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