sabato, 23 Novembre 2024
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Marcia per la liberazione degli ostaggi di Hamas

Marcia da Tel Aviv a Gerusalemme da parte delle famiglie degli ostaggi con lo scopo di liberarli al più presto

I parenti degli ostaggi presi da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre al sud di Israele hanno iniziato una marcia da Tel Aviv verso l’ufficio di Benjamin Netanyahu a Gerusalemme. Come affermato dal Guardian, all’inizio del percorso, le famiglie si sono riunite fuori dalla Piazza del Museo di Tel Aviv e hanno lanciato appelli per il rilascio dei loro cari tenuti prigionieri a Gaza per 39 giorni. Le famiglie mirano a marciare tra le due città nell’arco di cinque giorni, accampandosi in tende lungo la strada e arrivando fuori dall’ufficio di Netanyahu sabato. Quando il corteo ha lasciato la piazza, informalmente ribattezzata “Piazza degli ostaggi”, le famiglie hanno cantato la parola ebraica “achshav”, che significa “ora”.

Yuval Haran, che ha sette parenti che sono stati presi in ostaggio, ha detto alla folla: «Non hanno più tempo». Haran, 36 anni, ha detto di essere consumato dal dolore e ha aggiunto: «Andremo a Gerusalemme dove siedono le persone che hanno il potere di decidere, dove siedono il Primo ministro e il gabinetto di guerra, dove si trova tutta la Knesset, e chiederemo di incontrarli. Chiederemo di sapere perché le nostre famiglie non sono ancora a casa». Il padre di Haran, Avshalom, 66 anni, e sua zia, Lilach Kipnis, e suo zio, Eviatar Kipnis, sono stati uccisi dopo che Hamas ha preso d’assalto il kibbutz Be’eri. Sua madre, Shoshan, 67 anni, e sua sorella, Adi Shoham, insieme a suo marito, Tal, il loro figlio, Naveh, di otto anni, e la figlia Yahel, di tre, sono stati rapiti. Anche sua zia e sua figlia di 12 anni sono state rapite.

Tenendo in mano i poster dei loro cari durante la marcia, ognuno aveva la propria storia devastante da raccontare. Erez Adar, 63 anni, indossava una maglietta con il volto sorridente di sua madre Yafa, 85 anni, rapita dal kibbutz Nir Oz. La maglietta di sua moglie, Adriana, raffigurava suo nipote, Tamir, 38 anni. «È padre di due bambini di sette e quattro anni, e vogliamo che tornino tutti vivi ora. I figli di Tamir sono soli, aspettano e pregano. Non capiscono perché il padre non è con loro», ha detto Adriana. «Vogliamo che il governo li riporti a casa. Non so come, ma questo è il loro lavoro. Ci sono persone che sono ferite e non hanno tempo. Ci sono un sacco di persone anziane, non hanno un giorno in più. Non hanno un’ora».

Alessia Bianconi
Studentessa della Facoltà di Interpretariato e Traduzione
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