L’esercito israeliano sta andando incontro a una mancanza di effettivi. Questo potrebbe determinare una diminuzione di intensità della sua offensiva, ostacolando così il piano di Netanyahu di eliminare Hamas. «L’esercito ha sciolto sei divisioni negli ultimi vent’anni. Ad oggi gli mancano approssimativamente due intere divisioni, cioè 10.000 soldati supplementari», ha riferito il politologo Ahron Bregman a France 24.
Dopo quasi nove mesi dall’inizio del conflitto, l’esercito israeliano manifesta segni di stanchezza e la necessità di riposarsi con più frequenza, anche se non ha ufficialmente commentato lo stato delle sue truppe. «Il ritmo di rotazione di brigate e battaglioni è più rapido rispetto a prima», ha affermato lo storico e specialista in questioni di strategia militare in Medio Oriente Steven Wagner.
Pochi giorni fa l’esercito ha annunciato una “pausa tattica” giornaliera dalle 8 alle 19 per consentire l’aumento del volume di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. «La verità è che dopo otto mesi di guerra intensa, le truppe sono semplicemente esauste. […] Lo Stato Maggiore tenta a ogni costo di guadagnare un po’ di tempo affinché i soldati possano riposarsi e riorganizzarsi», ha proseguito Bregman.
Una possibile soluzione al problema sarebbe la mobilitazione degli israeliani ultraortodossi, gli Haredim, al momento esentati dal servizio militare. Tuttavia, questa proposta alienerebbe il supporto politico dei partiti ultrareligiosi e di estrema destra, di vitale importanza per la sopravvivenza del governo Netanyahu.
Per questo, il governo sta optando per un’altra possibile soluzione, ovvero estendere di un anno il periodo durante il quale i riservisti possono essere mobilitati: da 40 a 41 anni i soldati e da 45 a 46 anni gli ufficiali.
L’attuale condizione dell’esercito israeliano si sovrappone a una congiuntura politica altrettanto poco favorevole per lo Stato. Questo vede da un lato la recente dissoluzione del gabinetto di guerra, il governo di emergenza appositamente riunito per gestire le questioni relative al conflitto. Secondo gli analisti, la dissoluzione era una mossa ampiamente prevedibile in virtù delle recenti dimissioni di Gantz ed Eisenkot, che avrebbero privato il gabinetto della sua componente moderata, facendo pendere la bilancia verso il solo Likud di Netanyahu.
Dall’altro lato, parte della popolazione israeliana si è di recente raccolta nelle strade e fuori dalla Knesset per protestare contro le modalità adottate dal governo per affrontare la guerra. In particolare, i protestanti hanno criticato e attaccato il governo per il suo impegno insufficiente nel cercare di liberare i restanti 120 ostaggi israeliani rapiti da Hamas il 7 ottobre scorso, riporta Reuters.
In aggiunta, non si esclude un’escalation a nord, al confine con il Libano, dove Israele e il gruppo armato Hezbollah sono impegnati in scontri quasi quotidiani di basso livello. Aprire un altro fronte a nord sarebbe nel pieno interesse di Netanyahu, che in questo modo posticiperebbe ancora la “data di scadenza” del conflitto e, di conseguenza, il suo fallimento politico. Tuttavia, una guerra aperta con Hezbollah sarebbe molto difficile dal punto di vista degli effettivi e del morale delle truppe, ha commentato Omri Brinner, specialista in geopolitica del Medio Oriente.