Il piano per imporre una tassa di almeno il 15% sui profitti delle grandi società internazionali è stato concordato, all’inizio di ottobre, da 136 paesi e approvato, alla fine del mese, dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e dagli altri leader del G20.
Per snellire la procedura di attuazione di questa nuova aliquota fiscale, mercoledì 22 dicembre, la Commissione europea, il braccio esecutivo dell’UE, ha proposto come atto legislativo una direttiva: si tratta di uno strumento normativo classico dell’Unione, stabilisce un obiettivo che tutti i Paesi membri devono realizzare, lasciando ai singoli Stati la definizione, attraverso disposizioni nazionali, del come tali obiettivi vadano raggiunti.
La proposta dell’UE è stata sviluppata in base alle “regole modello per l’attuazione della tassa minima” dell’OCSE, che hanno lo scopo di aiutare i singoli governi nello sviluppo di leggi che siano collettivamente coerenti, cercando di evitare complicanze nazionali che potrebbero aprire nuove strade per l’elusione fiscale. Nel complesso, l’OCSE stima che le nuove regole potrebbero dare ai governi di tutto il mondo entrate aggiuntive di 150 miliardi di dollari all’anno.
La Commissione spera che la direttiva venga approvata dai governi entro la metà dell’anno, aprendo la strada all’attuazione delle nuove regole nel 2023: tuttavia, tre membri del blocco – Irlanda, Estonia e Ungheria – hanno espresso riserve sull’aliquota minima d’imposta e hanno accettato solo l’accordo di ottobre del G20, anche se il Commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, ha riferito ai giornalisti di ritenere che la direttiva riceverà il loro sostegno.
Mentre l’annuncio dell’UE è un altro passo avanti verso un’aliquota fiscale minima globale, lo sforzo degli Stati Uniti per attuare l’accordo di ottobre è ora in stallo e le sue prospettive sono incerte per il 2022.
L’aumento delle tasse sulle multinazionali con sede negli Stati Uniti è avvolto in una legislazione più ampia per affrontare il cambiamento climatico, l’assistenza all’infanzia e la povertà.
Proposto dall’amministrazione Biden, il Build Back Better è un piano legislativo da quasi duemila miliardi che prevede diverse misure, tra cui la revisione della cosiddetta Gilti (Global intangible law tax income): è il regime di tassazione nato con la riforma fiscale americana del 2017, con l’obiettivo di sottoporre a un’aliquota fiscale del 10,5%, il reddito imponibile generato all’estero da società controllate da una holding, con sede negli USA, attraverso una partecipazione pari o superiore al 10%.
Le speranze per il passaggio del Build Back Better hanno subito un duro colpo la scorsa settimana, quando il senatore democratico, Joe Manchin, si è opposto al fulcro dell’agenda economica del Presidente Biden, sostenendo che potrebbe portare ad un vertiginoso aumento del debito pubblico.
I funzionari dell’amministrazione Biden hanno sottolineato l’importanza di mantenere gli impegni assunti dagli Stati Uniti nei negoziati fiscali globali: infatti, i leader democratici si sono impegnati a resuscitare la versione del disegno di legge all’inizio del prossimo anno.