giovedì, 25 Aprile 2024
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I vincitori e i vinti della pandemia

Nonostante la diffusione di diverse varianti di Covid-19, la velocità della ripresa economica, dall'enorme recessione del 2020, ha colto di sorpresa molti analisti: la pandemia, tuttavia, ha creato vincitori e vinti ed è probabile che le differenze economiche tra loro persistano anche nel 2022

Al fine di valutare come gli Stati abbiano reagito alla recessione economica del 2020, dovuta alla pandemia da Covid-19, la testata giornalistica inglese, The Economist, ha raccolto i dati in base a cinque indicatori di stampo economico-finanziario: il PIL, per avere un’istantanea sulla salute economica; il reddito delle famiglie, includendo anche i sussidi governativi, al fine di dare un’idea di come si siano comportate; la performance del mercato azionario, per capire il livello di attrattività di un Paese per gli investitori esteri; la spesa “in conto capitale”, con l’intento di fornire un indicatore dell’ottimismo delle imprese per il futuro; infine, il debito pubblico, utile per capire come siano aumenti le tasse e i tagli sulla spesa.

The Economist ha classificato ogni economia in base al rendimento di ciascun indicatore, creando una classifica generale: su un totale di 23 Paesi, alcuni rimangono nelle “fosse economiche”; mentre altri, in base a quasi tutti gli indicatori, stanno andando meglio di quanto non facessero prima della pandemia. 

Danimarca, Norvegia e Svezia sono tutte ai primi posti, al contrario di molti grandi Paesi europei -tra cui Gran Bretagna, Germania e Italia- che se la sono cavata peggio.

Grazie al primo indicatore, capiamo che sono stati soprattutto i Paesi fortemente legati al turismo, in particolare quelli dell’Europa meridionale, ad essere più vulnerabili ai divieti di viaggio e al conseguente crollo della spesa inerente ai servizi del terzo settore; che, invece, in altri Paesi, tra cui Belgio e Gran Bretagna, la spesa dei consumatori è stata limitata perché si sono registrati alti livelli di infezione e numerosi decessi da Covid-19.

Un volo quasi vuoto da PEK a LAX nel marzo 2020 in mezzo alla pandemia di COVID-19. Fonte Wikimedia Commons.

Dal secondo indicatore, il reddito delle famiglie, si nota come la sofferenza del mercato del lavoro, dipende dall’impatto del virus: in Giappone, infatti, il tasso di disoccupazione si è a malapena spostato dall’inizio della pandemia; mentre, le famiglie americane hanno ricevuto, quest’anno, più di 2 trilioni di dollari in sussidi statali. Austria e Spagna, invece, non sembrano né preservare i posti di lavoro né compensare quelli persi: in entrambi i Paesi il reddito reale delle famiglie è ancora inferiore di circa il 6%, rispetto al livello pre-pandemia.

Dalla performance del mercato azionario si intuisce che i prezzi delle azioni non hanno avuto grandi sbalzi, quando sul territorio erano presenti aziende che hanno beneficiato della tecnologia collegata alla pandemia, come per Gran Bretagna ed USA. 

Con la spesa “in conto capitale” notiamo che alcuni Paesi sono nel bel mezzo di un boom degli investimenti: in America, ad esempio, gli imprenditori stanno individuando le opportunità create dalla pandemia e le aziende stanno spendendo maggiormente in tecnologie per rendere più efficiente il lavoro da casa. 

Per quanto riguarda l’ultimo indicatore, si vede che solo alcuni Paesi come Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada hanno accumulato enormi debiti durante la pandemia: infatti, ad esempio, il debito pubblico svedese è aumentato di appena sei punti percentuali rispetto al PIL. 

L’OCSE prevede che se anche nel 2022 alcuni dei peggiori giocatori inizieranno a recuperare terreno -come l’Italia che dovrebbe crescere del 4,6%-  gli effetti disomogenei della pandemia dureranno fino alla fine del prossimo anno.

Laura Ponte
Studentessa della Facoltà di Investigazione, Criminalità e Sicurezza internazionale
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