Harvard, una delle università della Ivy League statunitense, ha rilasciato un comunicato martedì 28 maggio, annunciando che non farà più dichiarazioni su questioni non direttamente legate alla sua funzione principale, come avveniva in passato.
La decisione è stata presa dopo mesi di tensioni legate alla guerra iniziata il 7 ottobre 2023 tra Israele e Hamas, che ha avuto un notevole impatto sulle università statunitensi. Numerose manifestazioni pro Palestina hanno portato a confronti accesi tra studenti e docenti e a un aumento delle discussioni su questioni politiche e dei diritti umani.
La raccomandazione che l’università non commenti questioni pubbliche proviene da un rapporto dell’Institutional Voice Working Group, un gruppo di lavoro istituito da Harvard ad aprile per esaminare il ruolo delle istituzioni accademiche nel dibattito pubblico.
È stato l’istituto nella sua dichiarazione ad affermare che: «tali dichiarazioni rischiano di compromettere l’integrità e la credibilità della nostra missione accademica e possono minare l’inchiesta aperta e la libertà accademica, rendendo più difficile per alcuni membri della comunità esprimere le loro opinioni quando differiscono dalla posizione ufficiale dell’università», come riferito da The Hill.
Le posizioni assunte da Harvard nei mesi scorsi erano già state criticate, causando disordini interni all’università e portando alle dimissioni della presidente Claudine Gay. Inoltre, vi erano state contestazioni per una dichiarazione rilasciata da un gruppo studentesco pro-palestinese, che attribuiva la colpa dell’attacco a Israele, spingendo alcuni donatori a interrompere i rapporti con l’ateneo.
Harvard ha affermato che la decisione di non esprimersi sulle questioni di politica internazionale non deve essere considerata come astensionismo, ma come un’opportunità di garantire a ognuno la libertà di pensiero.
L’istituto ha affermato inoltre che: «lo scopo dell’università è perseguire la verità. In questa ricerca, l’università come istituzione non potrà mai essere neutrale, perché crediamo nel valore di cercare la verità attraverso un’indagine aperta, il dibattito e la ponderazione delle prove, al contrario di una semplice affermazione o di una credenza ingiustificata», ha poi aggiunto: «l’università non è un governo, incaricato di affrontare l’intera gamma di questioni di politica estera e interna, e i suoi leader non sono e non devono essere selezionati per le loro convinzioni politiche personali», come riferito dal Washington Post.