La mattina del 7 maggio 2025, un’imponente operazione di polizia ha posto fine all’occupazione della Butler Library, la storica biblioteca della Columbia University, trasformata per ore in un simbolo di protesta contro la guerra a Gaza. Decine di studenti, tra tamburi, slogan e striscioni con scritte come “Strike For Gaza” e “Liberated Zone”, avevano preso possesso della sala di lettura Lawrence A. Wein, cuore simbolico dell’ateneo newyorkese. L’intervento del NYPD, richiesto dalla direzione universitaria, ha portato all’arresto di almeno 40 studenti, condotti via in manette e caricati su furgoni e autobus della polizia.
Secondo quanto riportato da Reuters, l’università ha giustificato l’azione parlando di “occupazione non autorizzata” e “pericolo per la sicurezza”. Due agenti della sicurezza interna sarebbero rimasti feriti nel tentativo di sgombero, mentre all’esterno si sono registrati momenti di tensione: studenti spinti contro le porte chiuse della biblioteca, un ferito soccorso su una barella, cori che si mescolavano al rumore dei manganelli.
Il caso ha rapidamente acquisito una rilevanza nazionale. Il presidente Donald Trump, da tempo critico nei confronti delle mobilitazioni pro-Palestina nei campus statunitensi, ha accusato la Columbia di non proteggere i propri studenti ebrei, definendo le proteste ‘antisemite’ e ‘pericolose’. Tuttavia, tra i manifestanti c’erano anche studenti ebrei, che respingono tali accuse, ribadendo che la loro protesta è una critica legittima alla politica israeliana, non alla religione.
La frattura, però, è ormai politica. Come riferisce Reuters, l’amministrazione Trump ha già sospeso centinaia di milioni di dollari in fondi destinati alla ricerca scientifica della Columbia, e si moltiplicano le pressioni affinché l’università reprima il dissenso. Dal canto suo, l’ateneo si difende: afferma di combattere ogni forma di antisemitismo ma anche di voler tutelare la libertà di espressione e l’indipendenza accademica, ora sotto attacco.
In parallelo, il collettivo “Columbia University Apartheid Divest” ha rilanciato la storica richiesta di disinvestire l’endowment universitario – che ammonta a 14,8 miliardi di dollari – da aziende legate al settore bellico e al sostegno logistico e tecnologico dell’occupazione israeliana nei Territori Palestinesi.
La tensione si è ulteriormente aggravata con il caso di Mahmoud Khalil, dottorando palestinese della Columbia e attivista per i diritti civili, attualmente detenuto in un centro ICE in Louisiana. Arrestato settimane fa, è tra i primi studenti pro-Palestina a rischiare l’espulsione dagli Stati Uniti in virtù della linea dura annunciata da Trump nei confronti dei manifestanti stranieri.
L’episodio del 7 maggio diventa dunque il punto di convergenza di una crisi che intreccia politica estera, diritti civili e libertà accademica. La Columbia, oggi più che mai, è lo specchio inquieto di un’America divisa e in cerca di risposte.