Le pendici del monte Gorongosa, situato nel Mozambico centrale nell’omonimo parco nazionale, erano un tempo ricoperte da foreste tropicali d’alta quota, uniche nel paese.
Nel tempo la foresta aveva perso la sua natura a causa di continui disboscamenti. Le guerre hanno fatto il resto, costringendo sia la popolazione locale che i combattenti a rifugiarsi nel parco nazionale, che per sopravvivere non potevano far altro che disboscare per poter coltivare la terra per il sostentamento quotidiano.
Miglia di pendii sono stati ripuliti, lasciando il posto a terra arida dove crescono solo erbe e arbusti rachitici. Ma negli ultimi anni la foresta è rinata grazie a una coltura fino ad ora praticamente sconosciuta in Mozambico: il caffè.
Julisse Samuel Sabao, impiegato del parco Gorongosa, periodicamente fa dei sopraluoghi per vedere come prosperano le piantagioni. Da un lato, un paesaggio quasi desertico. Dall’altro, una fitta foresta ed ettari di piante di caffè.
Fuggendo dalla guerra civile (1975-1992), che causò un milione di vittime dopo l’indipendenza dal Portogallo, Julisse ha scoperto la coltivazione del caffè nel vicino Zimbabwe e da dieci anni sorveglia le piantagioni del monte Gorongosa.
Secondo la Banca Mondiale, sono state piantate circa 300.000 piante di caffè e 400.000 anacardi, creando 300 posti di lavoro di cui beneficiano 200.000 abitanti della regione.
Il caffè Gorongosa, le cui vendite sono interamente devolute al progetto sostenuto dal milionario e filantropo americano Greg Carr, viene ora esportato in tutti e quattro gli angoli del mondo.
Con la guerra in Ucraina “l’inflazione del prezzo dei prodotti di base sta colpendo anche il Mozambico. Dobbiamo alleviare questa pressione sulle famiglie e la nostra unica soluzione è aumentare la produzione”, spiega Celso Correia, ministro dell’agricoltura.
Una delle grandi sfide del settore locale, che soffre della mancanza di meccanizzazione e tecnologia, è la sua modernizzazione. “L’agricoltura è un settore essenziale, non possiamo dipendere da progetti internazionali, dobbiamo essere autosufficienti”, conclude Correia.