sabato, 23 Novembre 2024
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Sudan: firmato accordo di transizione tra militari e rappresentanti politici

Il 5 dicembre i militari attualmente al potere e alcuni leader politici hanno firmato un accordo di transizione democratica. L’opposizione protesta

Lunedì 5 dicembre i generali Abdel-Fattah Burhan e Mohammed Hamdan Dagalo, de facto governanti del Sudan, hanno incontrato i leader delle Forze per la Democrazia e il Cambiamento, il più grande partito politico sudanese pro-democrazia.

L’incontro, tenutosi presso il palazzo presidenziale di Kharthum, si è concluso con la stipulazione di un primo accordo di transizione democratica. Esso prevede una transizione di governo guidata dai civili, della durata di due anni, con l’obiettivo di giungere ad elezioni libere e democratiche e porre fine al regime militare instauratosi dopo il golpe dell’ottobre 2021.

In base al testo dell’accordo, per prima cosa verrà limitato lo strapotere dei militari. Per ristabilire parzialmente lo stato di diritto, verrà istituito un Consiglio di difesa e sicurezza sotto la guida del primo ministro. Inoltre, verranno unificate le forze militari sudanesi in un unico esercito nazionale e saranno implementati controlli e sanzioni sulle compagnie militari private.

La comunità internazionale ha accolto favorevolmente questo primo accordo di transizione democratica. In particolare, Stati Uniti, Norvegia, Regno Unito, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno avuto un ruolo determinante nell’esito delle trattative. Con un comunicato del Dipartimento di Stato, gli americani hanno dichiarato che l’accordo è «la base su cui poggiare un rinnovamento politico che includa tutti i cittadini del Sudan».

Tuttavia, l’accordo di transizione ha sollevato numerose critiche e perplessità da buona parte della società civile sudanese. In seguito alla firma dell’accordo, infatti, sono scoppiate violente proteste nella capitale. Le manifestazioni popolari, organizzate dal Comitato per la Resistenza, gruppo democratico dell’opposizione, sono state sedate con la forza.

Secondo quanto riportato da Al-Jazeera, i membri dell’opposizione ritengono che l’accordo di transizione non porterà a nessun cambiamento. Il mancato riferimento nell’accordo alla giustizia di transizione e alla riforma del settore securitario farebbe pensare ad un’impunità dei golpisti attualmente al potere. Il governo militare, infatti, avrebbe ucciso più di 100 civili dall’entrata in carica.

In risposta alle manifestazioni post-accordo, il generale Mohamed Hamdan Dagalo ha affermato che si impegnerà a tutelare il processo di transizione e si è scusato pubblicamente per «la violenza e gli errori verificatisi nella recente storia del Sudan». Dal canto loro, i manifestanti chiedono «giustizia per i martiri, processo per i militari e stato di diritto per tutte le comunità».

La sfida in Sudan non riguarda esclusivamente la democrazia, ne va della tenuta sociale stessa del Paese. Se l’accordo di transizione non verrà implementato, il Paese africano non potrà beneficiare dei prestiti da parte del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, entrate necessarie per risollevare la critica situazione economica.

Per la stabilità del Sudan e della regione, è dunque urgente superare la crisi securitaria e istituzionale.

Sara Oldani
Studentessa di Investigazione, criminalità e sicurezza internazionale
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