I primi di dicembre si è riunito a Rabat, in Marocco, un comitato UNESCO allo scopo di esaminare l’importanza di alcuni elementi del patrimonio culturale africano. Tra questi, il comitato ha inserito nella lista del patrimonio immateriale dell’umanità l’harissa tunisina, la musica raï algerina e la danza zambiana Kalela.
L’inserimento di queste tradizioni africane nella lista UNESCO non è stato privo di dibattito. In particolare l’aggiunta della danza Kalela ha inizialmente trovato l’obiezione del Burkina Faso che ha richiesto una disamina più approfondita delle sue origini.
La danza Kalela è nata durante l’epoca coloniale nella provincia di Luapula, in Zambia (allora Rhodesia settentrionale). Venne messa in pratica per la prima volta dai minatori africani e utilizzata a scopo di intrattenimento durante le occasioni più importanti, tra cui funerali, feste del raccolto e altre celebrazioni tradizionali.
È una tradizione che si rifà al fenomeno del “tribalismo urbano”, una commistione tra l’importante ruolo della tribù nella società zambiana e della modernità del modo di vivere occidentale. Ancora oggi il ballo è un elemento presente nelle rappresentazioni teatrali e nella cultura locale.
Per quanto riguarda invece gli altri due beni immateriali, l’harissa e la musica raï, il loro inserimento nella lista UNESCO non ha generato dubbi data la loro storia centenaria.
L’harissa è una salsa piccante, fiore all’occhiello della cucina tunisina, in quanto viene utilizzata da sola o come ingrediente dei piatti tradizionali del Paese africano. Deriva da peperoncini fatti seccare al sole – i migliori si trovano nella regione mediterranea di Cap Bon – i quali, uniti insieme a spezie e olio d’oliva, formano il prodotto finale.
L’influente peso dell’harissa nella cultura tunisina, frutto di pratiche e ricette che si tramandano di famiglia in famiglia, è stato sottolineato dal Festival dell’harissa tenutosi a Nabeul l’ottobre scorso. Esportata in tutto il mondo, la popolarità della salsa potrà solo aumentare a seguito del suo inserimento nella lista UNESCO.
Stesso discorso vale per la musica raï, genere popolare algerino, ancora di tendenza grazie alla celebre canzone “Disco Maghreb” di Dj Snake, rapper franco-algerino. Tuttavia, la musica raï nasce già negli anni ’30 del secolo scorso sotto la dominazione francese. Il vero boom di questo genere musicale avviene tra gli anni ’80 e ’90, grazie all’introduzione di nuove tecniche musicali dei Chebs, come si facevano chiamare allora i giovani algerini.
I cantanti rappresentativi di questo genere sono stati Cheb Hasni, Cheb Khaled e Cheb Mami, originari della cittadina di Oran, considerata l’epicentro della musica raï. I temi trattati nelle loro canzoni riguardavano l’amore, la libertà e il rinnovamento della società. Proprio per questo motivo, Cheb Hasni venne ucciso durante la guerra civile algerina da un estremista islamico. Ancora oggi nei bar di Algeri risuonano i suoi componimenti.
Con l’inserimento di questi beni immateriali al patrimonio dell’umanità, l’UNESCO ha pertanto riconosciuto formalmente la ricchezza culturale del continente africano.