Da ormai più di sei anni, al largo delle coste yemenite e a nord della città di Hodeidah, giace la FSO Safer, petroliera adibita all’immagazzinamento di ampie quantità di petrolio proveniente dal giacimento di Marib, nell’entroterra.
Le ragioni per cui la nave rappresenta una così urgente minaccia per l’ecosistema, le comunità locali e l’economia hanno a che vedere con la mancata manodopera, estremamente necessaria per una struttura attiva da oltre quarant’anni. Fino al 2014, anno in cui il colpo di stato da parte dei miliziani sciiti Houthi, supportati dall’Iran, ha sancito l’inizio di una guerra civile tutt’ora in corso, la nave era gestita da una compagnia statale yemenita, la SEPOC, che, partecipando alle spese per la manutenzione, ne assicurava il funzionamento. L’emergenza è emersa da quando gli Houthi hanno preso il controllo dell’ampia area comprendente anche la zona in cui si trova la Safer. L’equipaggio è passato da cinquanta a sette unità, che faticano a frenare l’inevitabile processo di deterioramento della struttura, le cui temperature interne hanno spesso superato i centoventi gradi, rendendo sempre più verosimile la prospettiva di un disastro imminente. Non solo, i ribelli hanno ostacolato qualsiasi tipo di intervento offerto da terzi, di cui l’ultimo da parte delle Nazioni Unite nel 2018, che ha portato allo stallo delle trattative volte a concordare un piano per il futuro della FSO Safer.
Gli esperti prevedono che, proprio a causa dell’avaria dei sistemi e dei materiali, la nave possa affondare, prender fuoco o, addirittura, esplodere. Sebbene non vi sia assoluta certezza circa quale dei tre scenari sia ad oggi il più probabile, certo è che ognuno causerebbe il riversamento in mare di 1,1 milioni di barili di greggio, generando un disastro ecologico senza precedenti. Questa eventualità – ormai data per certa – comprometterebbe non solo lo Yemen, ma anche l’Arabia Saudita, l’Eritrea e il Gibuti, senza considerare gli effetti su più ampia scala di cui tutto il mondo finirebbe per risentire. Infatti, un incidente di tale portata nei pressi dello stretto di Bab el-Mandeb, che collega il Mar Rosso al Golfo di Aden, inciderebbe ampiamente sulle capacità di approvvigionamento energetico globale, dal momento che, ogni anno, il volume delle merci che l’attraversano è pari al dieci percento del commercio mondiale.
Per impedire il verificarsi di una catastrofe, martedì 14 maggio le Nazioni Unite hanno lanciato una campagna di crowdfunding, chiamata “UN Plan for the FSO Safer Tanker Stop the Read Sea Catastrophe”, con l’obiettivo di raccogliere entro la fine del mese gli 80 milioni di dollari necessari a trasferire i barili di petrolio dalla Safer ad un’altra petroliera. Di questa cifra, 60 milioni sono già stati stanziati da alcuni paesi membri.
Questa operazione, che richiederebbe circa quattro mesi per essere ultimata, non è che la prima fase di un progetto che prevede anche la rimozione, una volta svuotata, della struttura in questione, comportando una spesa totale intorno ai 140 milioni di dollari.
Per ora, la priorità è il dislocamento dei barili di petrolio entro l’inizio della stagione invernale che, caratterizzata da forti venti e intense correnti, rischia di compromettere definitivamente le condizioni dell’imbarcazione.