“Premiare la pace per fermare la guerra”: sembra essere questa la logica che ha portato a premiare tre rappresentati della società civile di paesi come Russia, Ucraina e Bielorussia, ovvero persone e ONG che “hanno per molti anni promosso il diritto di criticare il potere e hanno lavorato per proteggere i diritti fondamentali dei cittadini”, scrive il comitato di Oslo.
Non è un caso il fatto che, un anno dopo la vittoria del Premio Nobel per la pace 2021 da parte di Dmitrij Andreevič Muratov, classe 1961, direttore del periodico d’opposizione Novaja Gazeta, non ci si sia allontanati da quella che ormai da mesi rappresenta l’area geografica di maggior interesse a livello mondiale.
Nello dettaglio, il quotidiano La Repubblica offre una panoramica sui tre vincitori:
- Ales’ Baliatski, fondatore del Viasna Human Rights Centre con sede a Minsk, fondato nel 1996 in risposta alla brutale repressione del dittatore bielorusso Aleksandr Lukashenko.
- Memorial, organizzazione per i diritti umani russa, liquidata coattivamente all’inizio del 2022 da Vladimir Putin, con l’accusa di rappresentare un ente antipatriottico al servizio di potenze straniere. Dal nome stesso dell’istituzione è deducibile l’obiettivo che ha sempre guidato, ormai da trent’anni, il suo operato: conservare la memoria e le testimonianze di milioni di cittadini innocenti, vittime di pene ingiuste scontate nei tristemente noti gulag.
- Centr Hromadjans’kych Svobod (Centro per le Libertà Civili), organizzazione ucraina fondata nel 2007, data a partire dalla quale ha monitorato scrupolosamente e con professionalità le persecuzioni politiche nella Crimea occupata dai russi, documentando quei crimini di guerra seguiti all’invasione iniziata nel 2014, così come quelli a partire dal 24 febbraio scorso.
Il premio viene assegnato prendendo in considerazione essenzialmente 3 criteri: un chiaro contributo volto a porre fine ad un conflitto armato, un impegno costante nel favorire trattative pacifiche come soluzione del conflitto stesso, così come nel rafforzare una cooperazione fraterna fra i popoli.
Ufficialmente non vi sono requisiti anagrafici: non è mai stata fissata un’età minima per il candidato laureato, anche se è da sempre sottolineata l’importanza di un contributo significativo e duraturo nel tempo da parte della persona o organizzazione in questione.
Subito dopo l’annuncio dei vincitori, non si sono fatte attendere alcune domande provocatorie da parte dei giornalisti lì presenti che, come riporta la BBC Russian news, hanno chiesto se questo premio non fosse in quale modo una sorta di regalo al presidente della Federazione Russa Vladimir Putin per i suoi 70 anni. Tuttavia, la risposta di Berit Reiss-Andersen, presidentessa dal 2017 del comitato per il Nobel norvegese, ha precisato come questo premio di pace non abbia nessuna relazione con il capo del Cremlino. L’unico legame con il presidente russo, ha riconosciuto Reiss-Andersen, è da ricondurre al regime dittatoriale instaurato nel suo paese, capace di generare inconsciamente un movimento d’opposizione condiviso, oggi vincitore congiunto dell’ultima edizione.
Come suggerisce l’emittente pubblica tedesca DW, offrendo uno spunto di riflessione interessante, molti osservatori hanno interpretato la scelta di questi tre vincitori come un gesto simbolico con cui premiare e di fatto incoraggiare quella parte di società costituita da cittadini apertamente anti-putiniani.
Un anno fa di questi tempi, Vladimir Putin trovò modo di congratularsi con il già menzionato, nonché connazionale, Dimitrij Muratov, vincitore dell’edizione passata. In un clima di estrema tensione a livello internazionale, sarà interessante vedere quale atteggiamento adotterà quest’anno al riguardo.