sabato, 20 Aprile 2024
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Venezuela: il rimpatrio in un paese non migliore, ma diverso

L'inasprimento delle restrizioni migratorie e il processo di dollarizzazione ha provocato il rimpatrio di migliaia di venezuelani

Tra i migliaia di Venezuelani che stanno tornando in patria dopo la crisi degli anni scorsi, c’è un ragazzo che ricorda al País un episodio che nella tragedia venezuelana è conosciuto come Dakazo. Il presidente del Venezuela Nicolás Maduro ha ordinato di abbassare i prezzi in un negozio di elettrodomestici chiamato Daka e la gente si è accalcata per acquistare per un tostapane o un asciugacapelli.

Il ragazzo che si rivolge al quotidiano è tornato in Venezuela nel 2023, dopo che quasi per otto anni ha vissuto in Cile. «Se mi va male ci torno, ma non è il mio piano che mi vada male. So dove sono venuto, non ho alcuni obiettivo strategico finanziario. Torno per motivi emotivi e personali», racconta al telefono.

Il governo venezuelano riportava per la fine del 2022 appena 31.000 rientrati con il cosiddetto Piano Vuelta a la Patria che dalla pandemia ha predisposto voli per il ritorno dei cittadini venezuelani, e con ciò ha alimentato la narrativa sulla ripresa del paese. Circa 6 milioni di persone hanno lasciato il Venezuela tra il 2017 e l’inizio della pandemia.

Una 34enne venezuelana, anche essa ritornata dal Chile, dice: «è emersa l’autogestione e nessuno si aspetta più nulla. Come a casa mia, che non arriva acqua da quattro anni ma ora si chiama l’autocisterna e ogni famiglia risolve allo stesso modo».

Secondo loro, il paese sta attraversando un periodo di cambiamenti. Scelgono di tornare in una Venezuela più diseguale e cara, in cui la dollarizzazione e il lavoro da remoto consentono loro di stabilirsi dignitosamente.

La dollarizzazione del paese è il principale cambiamento che si percepisce. A un ragazzo che è emigrato a Lima, in Perù, nel 2016, non gli era consentito avere dollari senza autorizzazione del Governo, perché questo costituiva reato. Oltre al suo lavoro da tassista, ha in programma di allestire un chiosco per arrotondare il reddito. «Sono entusiasta del ritorno, non ho pensato alla possibilità di tornare in Perù. Sì, qui lavoro moltissimo. Esco alle 3 o 4 del mattino per strada a lavorare sì o sì ogni giorno devo fare dollari», dice durante una pausa nella sua giornata lavorativa.

Come riporta il quotidiano spagnolo, questo flusso coincide con l’inasprimento delle restrizioni in diversi paesi della regione che inizialmente avevano aperto le loro porte, illudendo ad una ripresa economica del Venezuela a partire dalla revoca di alcuni controlli imposti dal governo chavista e l’avanzamento della dollarizzazione, ciò al pari dell’inflazione e della svalutazione della moneta.

«La situazione è diventata molto difficile per i venezuelani negli ultimi mesi che vengono deportati in Cile e Perù e al confine con gli Stati Uniti. Sono in una sorta di mancanza di protezione e sono nel gioco politico di alcune élite che usano il tema migratorio dando segnali di xenofobia per cercare di aumentare la loro popolarità», dice Anitza Freties, che sta per pubblicare i risultati di uno studio che anticipa le sfide di reintegrazione che potrebbero implicare un ritorno su larga scala.

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