Mercoledì 15 novembre la Corte suprema britannica ha bocciato all’unanimità il progetto del governo di deportare in Ruanda i richiedenti asilo. Applicando, così, una precedente sentenza della corte d’appello che aveva stabilito che tale politica – che è stata duramente condannata dagli organismi umanitari – non era legale. Il progetto era stato annunciato per la prima volta nell’aprile 2022, ma è stato oggetto di cause e diatribe legali per cui non si è riusciti a espellere una sola persona. Tale piano per il Ruanda è stato svelato in risposta all’aumento del numero di pericolose traversate su piccole imbarcazioni effettuate dai richiedenti asilo attraverso il Canale della Manica. Il tasso di attraversamenti è aumentato rapidamente negli ultimi anni, una tendenza che il premier Sunak si era impegnato a invertire.
Sunak ha, inoltre, dichiarato che avrebbe invece cercato di siglare un trattato formale con il Ruanda – una mossa che sarebbe soggetta a un ulteriore controllo legale – e avrebbe introdotto una “legislazione di emergenza” che consentirebbe al parlamento britannico di dichiarare unilateralmente il Ruanda un paese sicuro. I giudici, invece, hanno stabilito che il Ruanda non poteva essere considerato un paese sicuro in cui inviare i richiedenti asilo, come ha sostenuto il governo, perché c’era il rischio che i veri rifugiati venissero rimpatriati nei paesi da cui erano fuggiti. Inoltre, come ha affermato la CNN, il Ruanda è stato criticato per «esecuzioni extragiudiziali, morti in custodia, sparizioni forzate e torture».
La decisione della corte è stata celebrata da gruppi umanitari che si erano a lungo opposti al piano come Care4Calais, che sostiene i rifugiati nel Regno Unito e in Francia, che ha affermato che la sentenza «dovrebbe porre fine a questo stigma vergognoso nella storia del Regno Unito». Inoltre, Medici Senza Frontiere ha detto che la sentenza è un «risultato incoraggiante», aggiungendo: «Il nuovo ministro dell’Interno ha ora la possibilità di abbandonare questo approccio inutilmente crudele e concentrarsi invece sulla fornitura di percorsi sicuri per coloro che cercano rifugio nel Regno Unito. Questo è l’unico modo realistico e umano per ridurre il numero di persone che rischiano la vita nella Manica».