Negli Stati Uniti è in corso una silenziosa ma profonda crisi che coinvolge centinaia di studenti internazionali, vittime di una campagna di revoca dei visti condotta con modalità spesso opache e affrettate. Come riportato da AP News, oltre 1.100 studenti hanno perso improvvisamente il proprio status legale, talvolta senza ricevere spiegazioni chiare. Il fenomeno, che ha colpito giovani provenienti da tutto il mondo, ha generato un’ondata di panico nelle università e ha costretto molti a ricorrere alla giustizia per evitare l’espulsione.
In Georgia, un giudice federale ha recentemente accolto una richiesta d’urgenza per sospendere il rimpatrio forzato di 133 studenti, ordinando il ripristino del loro status nel sistema SEVIS fino almeno al 2 maggio. La decisione arriva dopo una serie di casi giudiziari che hanno sollevato interrogativi inquietanti sulla trasparenza dei procedimenti. Secondo i legali degli studenti, in diverse situazioni la revoca del visto è stata motivata da infrazioni minime o, peggio, da elementi discriminatori legati all’attivismo politico o alla semplice provenienza geografica.
Come segnalato anche da CBS News, alcuni studenti sono stati inseriti in liste di rimpatrio dopo aver ricevuto solo un avviso postale, senza alcuna possibilità di contestare preventivamente la decisione. Altri hanno scoperto di essere diventati “fuori legge” solo al momento del rinnovo dei documenti. In parallelo, numerose università — tra cui istituzioni prestigiose come Harvard — hanno ricevuto pressioni da parte dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) per fornire dati dettagliati su iscrizioni e frequentazioni.
Il contesto politico non è neutrale. Diversi osservatori hanno evidenziato che il giro di vite avviene in un momento in cui il dibattito sull’immigrazione è tornato al centro della scena politica americana. Secondo quanto riportato da ICEF Monitor, l’attuale amministrazione ha avviato una revisione delle certificazioni universitarie per l’iscrizione di studenti stranieri, minacciando di revocare l’autorizzazione alle istituzioni non “compliant”.
Organizzazioni per i diritti civili e ambienti accademici denunciano quella che definiscono una “criminalizzazione dello studio” e un attacco diretto alla libertà accademica. I tribunali, intanto, si stanno trasformando nell’ultimo scudo per studenti che — oltre al trauma dell’esclusione — affrontano detenzioni, perdita di prospettive professionali e separazione dai propri affetti.
La vicenda è tutt’altro che chiusa. Nuove udienze sono previste nelle prossime settimane, e il rischio è che le decisioni legali si trasformino in precedenti giuridici destinati a ridefinire, forse in modo duraturo, il rapporto tra immigrazione, istruzione e diritti negli Stati Uniti.