Si sono concluse lo scorso 8 novembre le elezioni politiche che hanno visto il popolo nicaraguense recarsi alle urne per eleggere il presidente e il suo vice, nonché 90 deputati dell’Assemblea Nazionale e 20 deputati del Parlamento Centroamericano.
A vincere è stato ancora una volta Daniel Ortega, ex guerrigliero e capo del Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSLN), partito filo-comunista che si è imposto in Nicaragua a partire dal 1979 durante la rivoluzione che pose fine alla dittatura dei Somoza.
A settantasei anni, il leader sandinista ha conquistato il suo quarto mandato consecutivo (e sesto in totale, se si includono i primi due governi tra il 1979 e il 1990) ottenendo il 75,92% dei voti.
Un trionfo elettorale senza opposizioni, che ha riscosso forti critiche da parte della comunità internazionale (solo il Venezuela e l’Iran hanno espresso solidarietà al vincitore).
Non si è fatta attendere la reazione del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il quale ha parlato di “elezioni fake”, una farsa orchestrata da Ortega e sua moglie, la vicepresidente Rosario Murillo, contro le libertà e i principi di giustizia e democrazia. Anche l’Unione Europea attraverso Josep Borrell, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri, ha denunciato l’illegittimità delle azioni condotte dal governo durante l’intero processo elettorale, definendo il Paese un regime autocratico.
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Il Consejo Supremo Electoral (CSE), infatti, ha impedito a tre partiti oppositori di poter concorrere alle elezioni; ma ciò che ha fatto più discutere è stato l’arresto arbitrario di sette aspiranti alla presidenza, contrari a Ortega, come la giornalista Cristiana Chamorro Barrios, considerata la candidata favorita (appoggiata dagli USA) e posta ai domiciliari con l’accusa di riciclaggio.
Ortega ha replicato alle critiche, intimando al rispetto del principio di non ingerenza; di fatti, la stampa straniera è stata tenuta ben lontana dagli “asuntos internos”, bandendola dall’iter elettorale iniziato nei mesi scorsi.
Stessa sorte è toccata anche a quella fetta di giornalismo locale ritenuta una minaccia per il Paese e quindi incarcerata o costretta ad andare in esilio nel vicino Costa Rica (come Carlos Chamorro e Wilfredo Miranda).
Secondo quanto riportato dai tabloid, si è trattato quindi di un risultato scontato, frutto di una strategia di governo autoritario, che ha permesso ad Ortega e sua moglie di aggiudicarsi la permanenza al potere.