venerdì, 19 Aprile 2024
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“Keep 1.5 alive”: un “blah blah blah” o un qualcosa di reale?

Dopo due settimane di lavori, tre bozze di documento, 197 leaders hanno sottoscritto il “Glasgow Climate Pact”, documento finale della Conferenza delle Parti di Glasgow

Dal 31 ottobre al 13 novembre si è tenuto a Glasgow il ventiseiesimo vertice annuale della “Conferenza della Parti” dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change) per la lotta al cambiamento climatico.

Si sono riuniti 197 leader come anche decine di migliaia di negoziatori, rappresentanti di governi, imprese e cittadini per cercare di trovare soluzioni concrete con cui affrontare il cambiamento climatico.

La presidenza della Conferenza è stata assegnata al Regno Unito, nelle mani di Alok Sharma, Segretario di Stato per gli affari economici, l’energia e la strategia industriale del Regno Unito. 

Alla fine dei lavori della Cop26 è stato redatto il documento finale: “Glasgow Climate Pact.”

Quali sono i punti salienti?

Con l’intento di rispettare l’impegno preso nella Conferenza delle Parti di Parigi del 2015, cioè di far rimanere l’aumento delle temperature ben al di sotto dei 2 gradi Celsius e di limitarlo entro i 1,5°, si è stabilito di: ridurre le emissioni, principalmente, di anidride carbonica e metano del 45% entro il 2030 con il raggiungimento dello zero netto intorno a metà secolo; rafforzare i Nationally Determined Contributions (NDC), cioè le promesse dei singoli Stati, prese in maniera autonoma e volontaria, per contribuire a mantenere la crescita della temperatura globale entro i limiti decisi a Parigi, rivedendoli ogni anno anziché ogni 5; eliminare gradualmente il carbone “unabated”, definito così quando viene bruciato senza compensare la CO2 emessa, ed i combustibili fossili inefficienti; si sottolinea, infine, l’importanza della protezione, conservazione e restaurazione della natura e di tutti i suoi ecosistemi.

Proteste alla Pre-Cop, Milano. Fonte wikimedia commons.

Inoltre, poiché i Paesi meno sviluppati facenti parte della Cop non hanno ancora ottenuto i 100 miliardi di dollari a sostegno della transizione energetica, promessi nel 2009 a Copenhagen (dovevano essere disponibili entro il 2020), l’impegno è stato posticipato al 2025. 

In conclusione, si è discusso di istituire un fondo economico per risarcire i Paesi meno sviluppati che subiscono danni e perdite a causa di eventi legati al cambiamento climatico.

Per questo motivo, si ufficializza l’operatività della “Rete di Santiago”: nato solo di nome nel 2019, è un programma di assistenza tecnica che ha lo scopo di “catalizzare l’assistenza tecnica di organizzazioni, enti, reti ed esperti pertinenti, per l’attuazione di approcci pertinenti per prevenire, ridurre al minimo e affrontare le perdite e i danni a livello locale, nazionale e regionale, nei paesi in via di sviluppo particolarmente vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici.”

Non, quindi, un fondo di aiuti economici ma un programma di assistenza: nell’ultimo giorno della Conferenza, alcuni delegati dei Paesi in via di sviluppo più colpiti dal cambiamento climatico, hanno affermato che avrebbero spinto, più concretamente, per impegni finanziari alla COP del prossimo anno in Egitto.

Laura Ponte
Studentessa della Facoltà di Investigazione, Criminalità e Sicurezza internazionale
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