mercoledì, 24 Aprile 2024
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La cerimonia del tè in Giappone: storia di un rito

Le tradizioni, la cultura e il fascino del Paese del Sol Levante hanno da sempre abbagliato il mondo occidentale. La cerimonia del tè abbraccia una storia millenaria che continua tutt'oggi

Il Giappone, come anche le sue millenarie culture e tradizioni, ha da sempre affascinato il mondo occidentale. La cerimonia del tè, in giapponese 茶道 (sadō) o 茶の湯 (cha no yu) è sicuramente quella più conosciuta. La cerimonia del Paese del Sol Levante affonda le sue radici nel buddismo zen, in antichità infatti era una pratica molto nota e amata dai monaci e dai samurai.

Il tè fece il suo arrivo in Giappone nel VIII secolo, il suo uso principale era come medicinale piuttosto che come bevanda.  Nel periodo Kamakura (1185-1333) un monaco giapponese dopo una spedizione in Cina fece ritorno in Giappone e introdusse il buddismo zen e la pianta del tè. Da allora i monaci e i samurai iniziarono a farne largo uso in quanto le proprietà del tè, quali la teina e la caffeina, aiutavano i monaci a rimanere svegli e vigili nei momenti di meditazione.

Solo successivamente il tè divenne un bene per nobili e samurai più benestanti, divenne soprattutto un’occasione per tenere sfarzosi banchetti detti (tōcha, 闘茶, Gara del Tè) dove gli invitati si dilettavano a indovinare la provenienza del tè in base al colore e al gusto. Solo nel XV secolo il tōcha venne abolito da un monaco zen (Murata Juko) in quanto lo considerava sfarzoso e volgare, così impose di consumare questa bevanda in silenzio allo scopo di creare un collegamento spirituale fra l’ospite e gli invitati.

La cerimonia del tè che il continente occidentale conosce al giorno d’oggi è quella risalente al rituale del sarei: i monaci, dopo le meditazioni, si riunivano in vari momenti della giornata per sorseggiare il tè, berlo tutti insieme avrebbe contribuito a creare tra di loro una connessione spirituale.

Tuttavia, il vero fondatore della cerimonia del tè che viene praticata tutt’ora fu il monaco Sen no Rikyū che sviluppò e codificò il wabicha (侘茶). Il monaco zen eliminò qualsiasi sfarzo di questa cerimonia e la impostò principalmente sul modello zen del wabisabi che significa “solitario e rugginoso”, allo scopo di evidenziare la bellezza che è nelle imperfezioni. La cerimonia del tè presenta quattro pilastri principali: armonia, rispetto, purezza e tranquillità.

La tradizione vuole che il rituale si svolga all’interno di una capanna di legno e paglia, sarà possibile accedervi solo dopo aver percorso un piccolo sentiero per iniziare a entrare in contatto con l’ambiente esterno. Date le dimensioni ridotte della capanna, sarà necessario rannicchiarsi e poi, prima di entrare, togliersi le scarpe. In passato le ridotte dimensioni delle capanne costringevano i samurai a lasciare le proprie spade, simbolo del loro status, al loro esterno. Ogni differenza sociale si azzerava all’interno di queste capanne e ognuno diventava alla pari dell’altro.

Sara Daverio
Studentessa della Facoltà di Interpretariato e Traduzione
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