Il Presidente del Sudan, il colonnello Omar al-Bashir, è giunto al potere nel 1989 tramite un colpo di stato militare con il quale ha rovesciato il governo, democraticamente eletto, del primo ministro Sadiq al-Mahdi.
Dopo trent’anni di dittatura da parte del colonnello, nel 2018 il popolo sudanese ha iniziato a chiedere le sue dimissioni.
A causa del crescendo dei disordini il leader ha proclamato uno stato di emergenza rimasto in atto fino all’11 aprile 2019 quando l’esercito, guidato dal generale Ahmed Awad Ibn Auf, ha destituito il governo.
Il generale è stato Capo dello Stato de facto per 24 ore, scadute le quali ha nominato come suo successore il generale Abdel Fattah Abdel Rahman Burhan.
Ad agosto dello stesso anno è stato raggiunto un accordo tra Consiglio Militare di Transizione e le Forze dell’alleanza per la Libertà e il Cambiamento, guidate da Abdalla Hamdok, sancendo la nascita del governo civile/militare che nel 2020 ha avviato un processo di secolarizzazione dello Stato.
Il 25 ottobre 2021, spiega la BBC, il Primo Ministro Hamdok è stato deposto e arrestato dalle Forze di supporto rapido (RSF), un esercito paramilitare guidato dal Generale Dagalo. Il colpo di stato è stato orchestrato da Abdel al-Burhan successivamente autoproclamatosi Presidente.
Un mese dopo, il Premier è stato scarcerato e reintegrato nella sua carica ma si è dimesso spontaneamente nel gennaio 2022 in seguito alla violenta repressione attuata dai militari sui manifestanti.
Da sabato 15 aprile 2023, l’attrito tra i due generali che detengono il potere in Sudan, Dagalo e al-Burhan, è degenerato in uno scontro armato secondo quanto riportato dalla BBC.
I punti critici nei loro disaccordi, racconta ancora la BBC, sono due: la volontà del primo d’inquadrare le sue forze paramilitari nell’esercito regolare del paese e le modalità di ripristino di un governo civile in Sudan.
La violenza ha già causato 180 morti, tra cui uno studente colpito in università da un proiettile vagante nella città di Khartum, e 1800 feriti.
Ghazali Babiker, direttore a interim del Sudan per la ONG ‘Medici senza frontiere’, ha affermato ai microfoni della BBC “con questa guerra nessuno può uscire di casa” in riferimento all’impossibilità da parte delle agenzie umanitarie di aiutare la popolazione.
Acqua potabile e corrente sono state staccate e le medicine non arrivano agli ospedali, la capitale è sotto assedio e si indebolisce tra disperazione e distruzione.
Un cessate il fuoco è stato richiesto, per le giornate di domenica e lunedì dai governi occidentali, per ragioni umanitarie, tuttavia è stato violato dopo appena 20 ore.
Gli scontri tra RSF ed esercito proseguono senza sosta e la vita normale della capitale sembra solo un ricordo per gli abitanti del Sudan, ora costretti a bere l’acqua del fiume Nilo per sopravvivere.
E mentre le diplomazie europee congiunte con quella statunitense provano a mediare la situazione tra le due fazioni militari, il Sudan democratico sembra essere un sogno lontano per quei dimostranti che scesero in piazza contro al-Bashir.