domenica, 24 Novembre 2024
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La Giordania ritira la propria candidatura agli Oscar: il film è un’offesa alla Palestina

La distribuzione del fil Amira è stata sospesa in Giordania in seguito all’ondata di proteste da parte della Palestina, che lo definisce offensivo per la dignità dei detenuti nelle carceri israeliane

Il film Amira del regista egiziano Mohamed Diab, che parla di un’adolescente figlia di un uomo incarcerato in seguito alla rivolta palestinese della Seconda Intifada (2000-2005), ha riscosso un enorme successo alla Mostra del Cinema di Venezia. Era stato inoltre apprezzato in molti festival del cinema arabo, finché la Giordania non l’ha presentato alle candidature per l’Oscar come Miglior film in lingua straniera del 2022.

Ma proprio in seguito a questa risonanza internazionale e all’annuncio della sua prima proiezione in Palestina, la Giordania si è vista costretta a ritirare la propria candidatura agli Oscar e a chiedere pubblicamente scusa. La ragione è che con la sua trama irriverente e la sua analisi umanitaria, il dramma raccontato nella pellicola ha toccato un nervo scoperto di una società – quella palestinese – che conta più di 4.500 detenuti nelle carceri israeliane ai quali viene limitato il contatto con le famiglie.

«È un insulto alla dignità dei carcerati», afferma Qadri Abu Baker, direttore del Servizio di Assistenza ai Detenuti dell’Autorità Palestinese. «Nuoce alla causa popolare», sostiene invece il ministro della Cultura Atef Abu Said, che inoltre sottolinea quanto il film “offenda l’eroismo dei detenuti”.

«Sospenderemo la distribuzione del film»

A destare scalpore è stata la scelta di trattare un tema così delicato come il concepimento in vitro, utilizzando lo sperma dei carcerati palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane, dove sono proibite le visite dirette con i parenti. Ma ad indignare maggiormente è stata l’idea di presentare il padre della protagonista (prigioniero) come sterile, e la rivelazione che in realtà il genitore biologico fosse la guardia carceraria israeliana corrotta per portare fuori dal carcere il liquido seminale dei detenuti illegalmente.

«Ho provato a riportare fedelmente la complessa realtà di queste persone», ha dichiarato a Venezia Mohamed Diab, nel tentativo di giustificare le proprie decisioni. «Il film mostra la perseveranza del carattere palestinese, che trova continui modi di sopravvivere».

Tuttavia, le sue parole non sono bastate a placare il dissenso generale, che ha portato tutte le associazioni di supporto ai prigionieri ad esigere che tutti coloro che avessero partecipato alla controversa produzione cinematografica di Amira si scusassero pubblicamente.

«Sospenderemo la distribuzione del film», è stato l’annuncio dei produttori di fronte a tale richiesta. «Ma solleciteremo la creazione di un comitato di rappresentanza dei detenuti e delle loro famiglie affinché possa vederla e analizzarlo».

Valeria Coppola
Studentessa della Facoltà di Interpretariato e Traduzione
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