Il 3 ottobre scorso le delegazioni internazionali di Libia e Turchia hanno stipulato un’intesa energetica che prevede lo sfruttamento di idrocarburi nel suolo e nelle acque territoriali libiche.
Il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu, durante la cerimonia ufficiale per la stipulazione del partenariato energetico, ha affermato che l’accordo è solo il primo passo di una più ampia collaborazione economica con la Libia.
I dettagli dell’accordo non sono stati resi pubblici, ma quel che si sa è che saranno le compagnie energetiche dei rispettivi Paesi ad occuparsi dei ricchi giacimenti di petrolio e gas naturale presenti in Libia e a ridosso delle sue coste, nell’ottica di favorire uno scambio di tecnologie e competenze settoriali.
L’intesa energetica ha provocato reazioni negative da parte degli altri Paesi mediterranei tra cui Israele, Cipro, Egitto e Grecia. Grecia ed Egitto, in particolare, interessati direttamente dalla competizione per le risorse (energetiche e non) nel Mediterraneo orientale, sarebbero gli Stati più danneggiati dal rinnovato legame tra Turchia e Libia.
Grecia ed Egitto hanno infatti stipulato nel 2020 un accordo per delimitare le loro zone economiche esclusive (ZEE), cioè le porzioni di mare adiacenti alle acque territoriali dove lo Stato che le possiede ha il diritto di sfruttare le risorse naturali (ittiche, energetiche e del fondale) ivi presenti. Il problema è che tali ZEE coincidono in parte con i confini delle zone economiche esclusive di Libia e Turchia, come stabilito dal loro patto firmato nel 2019.
Alla luce di queste considerazioni, si comprende come gli interessi strategici ed economici di Atene e Il Cairo siano completamente opposti a quelli di Ankara e Tripoli. Non sono tardate dunque le accuse da parte dei diplomatici greci ed egiziani nei confronti dell’intesa energetica, definita contraria al diritto internazionale del mare e per questo priva di valore.
Come riporta Reuters, il ministro degli esteri greco Nikos Dendias ha dichiarato che il Governo di Unità Nazionale (GNU) di Tripoli, presieduto da Dbeibah, non disporrebbe dell’autorità e della legittimità necessaria a stipulare accordi internazionali. In Libia, infatti, dal maggio scorso, vigono de facto due governi: quello di Tripoli, riconosciuto dalla Comunità internazionale e quello di Tobruk, il cui rappresentante è Bashagha.
Sono sorte obiezioni in merito all’intesa energetica anche nella stessa Libia. In primis è intervenuto Aguila Saleh, Presidente del Parlamento libico di Tobruk, affermando che Dbeibah non è più il premier legittimo, in quanto si sarebbe dovuto dimettere a seguito delle elezioni previste il dicembre 2021 (poi rinviate) in base alle indicazioni delle Nazioni Unite. Secondo North Africa Post, anche il Consiglio Presidenziale Libico avrebbe espresso le sue rimostranze, segnalando di non essere stato consultato previa stipulazione dell’accordo.
La partita nell’arena geopolitica del Mediterraneo orientale è dunque aperta. La Libia ancora una volta si trova ad essere teatro di tensioni che potrebbero degenerare sia al suo interno che nel resto della regione.