venerdì, 19 Aprile 2024
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Perché diciamo “tallone d’Achille” per indicare il punto debole di una persona?

L’origine del mito dell’eroe Achille che ha portato alla nascita del famoso modo di dire risale alla mitologia greca

Tutti, almeno una volta nella vita, hanno utilizzato o sentito l’espressione “tallone d’Achille”, presente in quasi tutte le lingue. Con essa ci si riferisce figurativamente al punto debole di una persona. Ma vi siete mai chiesti il perché di questo modo di dire?

Dopotutto, con la dicitura “tendini di Achille” (che fa quindi riferimento allo stesso personaggio) si indicano le bande dure di tessuto fibroso che collegano i muscoli del polpaccio all’osso del tallone. Sono quelli che ci permettono di stare in punta di piedi quando corriamo, camminiamo o saltiamo, e possiamo definirli come i tendini più grandi e forti del corpo.

Quindi perché se i tendini del tallone dell’eroico Achille erano così potenti, il suo tallone era in realtà definibile un punto debole? La spiegazione la troviamo nell’epica stessa degli antichi greci.

Achille rappresenta infatti uno degli eroi più leggendari della mitologia greca, protagonista non solo dell’Iliade, ma anche di moltissimi altri racconti di poeti che hanno cercato di dare un finale a ciò che veniva lasciato in sospeso nei poemi omerici.

Semidio, figlio del mortale Peleo e della nereide Teti, essendo per metà umano era destinato alla morte, proprio come suo padre. Ma si narra che la madre fece di tutto per evitare che un giorno suo figlio decedesse, soprattutto considerato il fatto che lei, essendo una ninfa, fosse immortale.

Nel tentativo quindi di non provare uno dei dolori più grandi per una madre, ovvero quello di sopravvivere al proprio figlio, Teti decise di rendere la vita di Achille eterna. Ci sono diverse versioni sul come lo fece, ma la più nota è che condusse il proprio bambino al fiume Stige, che segnava il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Lo immerse dunque nelle acque di tale fiume, così da farlo diventare invulnerabile e invincibile. Dato però che per compiere tale gesto la donna dovette reggerlo per il tallone, quella rimase l’unica parte “umana” del corpo del piccolo, e quindi vulnerabile.

Teti immerge il piccolo Achille nel fiume Stige, di Pieter Paul Rubens. Fonte: Wikimedia Commons

Omero racconta ampiamente tutte le gesta eroiche del protagonista dell’Iliade, la sua forza, il suo spirito di squadra, la sua furia. Tuttavia, non menziona mai la sua morte, né tantomeno accenna al suo tallone. Non possiamo quindi attribuire a lui l’introduzione dell’espressione “tallone d’Achille” nel linguaggio comune, bensì a tutti gli altri poeti che si occuparono di narrare la sua morte, presentando le teorie più disparate.

Ad ogni modo, la più comune è quella che vede Achille ucciso da Paride durante la guerra di Troia. Questi, venuto a conoscenza dell’unica debolezza dell’eroe gli colpì con una freccia il tallone, parte non coperta dall’armatura. Inoltre, la maggior parte delle fonti affermano che fu il dio Apollo – sostenitore dei troiani – a guidare la freccia affinché si scagliasse proprio sul tallone.

Da qui, pertanto, il famoso detto, ad indicare che anche il più grande, brillante, importante e invincibile dei semidei… possiede un punto debole.

Valeria Coppola
Studentessa della Facoltà di Interpretariato e Traduzione
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