martedì, 19 Marzo 2024
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Svelato il segreto che conserva intatto il Colosseo: «nessun’altra civiltà nella storia, compresa quella di oggi, ha creato un cemento tanto resistente»

La miscela romana risulta più resistente di quella attuale. Il calcestruzzo romano si ripara da solo e diventa più duro col tempo.

Se oggi dovessimo colpire con un piccone la struttura in cemento del Colosseo, la punta rimbalzerebbe e non uscirebbe nemmeno un po’ di ghiaia. Se si insistesse a lungo, dopo un’infinità di colpi si creerebbe una crepa. Ecco che avverrebbe la cosa più sorprendente: ci vorrebbero meno di due settimane perché questa si richiuda. Da sola.

Il calcestruzzo, a contatto con l’aria, ripristinerebbe i propri pori. Sebbene il calcestruzzo romano sia stato studiato fin dagli anni ’60, quest’ultima singolare qualità è stata spiegata solo pochi giorni fa.

All’inizio del mese di gennaio, alcune università italiane, svizzere e statunitensi hanno pubblicato l’ultima proposta scientifica sui segreti del cemento romano. Finora si riteneva che dovesse la sua forza alle rocce pozzolane, di natura vulcanica, trovate nei pressi della cittadina di Pozzuoli, alle pendici del Vesuvio.

Oggi, però, ne sappiamo di più. Secondo quanto riferisce EL PAÍS, i grandi edifici romani sono sopravvissuti a millenni di storia non solo per la purezza dei materiali, ma anche grazie a un elemento specifico: la calce viva. Un bel paradosso: i Romani hanno creato strutture architettoniche con la stessa sostanza che noi utilizziamo in modo opposto, vale a dire, per corrodere la materia.

Tradizionalmente, il calcestruzzo è il risultato della miscela di due ingredienti diversi. Uno di questi,- caratterizza la sua ossatura, cioè la parte solida, ovvero la ghiaia che costituirà la maggior parte del composto. Ciò fa parte del successo del calcestruzzo romano, perché questo materiale, sempre puro, è stato trovato a Pozzuoli e da lì si è diffuso nel resto di Roma.

È dal secondo elemento che arriva la novità: il legante o colla, una sostanza che aiuta a tenere insieme la ghiaia. Finora si sapeva che i Romani prediligevano la calce, ma sempre a freddo, diluita con acqua. «Lo stesso Vitruvio, noto per i suoi trattati di architettura, raccomandava di idratare la calce per almeno sei mesi», ricorda Pablo Guerra, archeologo e professore all’Università di Castilla-La Mancha.

Alla tradizionale miscela di ghiaia e calce spenta, i Romani aggiungevano la calce viva, appena uscita dal forno e ancora ardente. Grazie a ciò, i grandi edifici di Roma non solo sono sopravvissuti fino ai giorni nostri, ma il procedimento richiedeva molto meno tempo.

«La calce viva accelera l’indurimento del calcestruzzo e lo rende più resistente, a condizione che venga aggiunta nel corso della miscelazione dei materiali. Inoltre, il materiale reagisce molto bene al contatto con l’aria. I pori del calcestruzzo si chiudono autonomamente quando si mescola con il carbonio presente nell’ambiente», spiega Guerra, riporta ancora il quotidiano spagnolo.

Ecco perché, a distanza di secoli, le crepe degli edifici romani impiegano solo pochi giorni per chiudersi da sole. «Il cemento romano è il migliore». Nessuna civiltà è mai riuscita a crearne uno tanto resistente quanto quello adoperato dai romani.

Gianluigi Micelli
Studente della Facoltà di Interpretariato e Traduzione
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