Le previsioni affermano con estrema certezza che entro i prossimi trent’anni uno tsunami si abbatterà anche su alcune aree costiere del Mediterraneo, mettendo a rischio la sicurezza di città come Marsiglia (Francia), Alessandria (Egitto), Istanbul (Turchia) e Chipiona (Spagna) che, stando a quanto riportato dall’Unesco, rappresentano i luoghi maggiormente esposti all’eventualità.
Secondo i calcoli dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, si tratterà di onde superiori ad un metro d’altezza che, sebbene non comunemente percepite come pericolose, in realtà hanno forza sufficiente per causare l’annegamento di chiunque si trovi nelle vicinanze.
La ragione ha, ancora una volta, a che fare con gli effetti del riscaldamento climatico che, comportando il rialzo delle temperature e lo scioglimento dei ghiacciai, determina l’innalzamento del livello dei mari, alla base della maggior frequenza con cui avvengono eventi naturali di questo tipo. Ma, se le località costiere dell’Oceano Pacifico e Indiano risultano essere attrezzate per fronteggiare tale eventualità, essendosi già trovate esposte alla minaccia negli anni passati, le coste del Mar Mediterraneo non sembrano ancora esserlo a sufficienza.
Dal 27 giugno scorso, a Lisbona, è in corso la Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani, la cui agenda include, tra i temi più urgenti di cui discutere, la necessità di un piano che assicuri ai luoghi a rischio la protezione indispensabile ad evitare che le conseguenze di un possibile maremoto si trasformino in una catastrofe per le comunità colpite. In questa occasione è stato presentato il programma “Tsunami Ready” con l’obiettivo di dotare le aree minacciate degli strumenti e conoscenze necessari ad affrontare un tale disastro naturale. Si tratta di procedure già testate in alcune regioni dei Caraibi, dell’Oceano Pacifico e dell’Oceano Indiano, in attesa di essere attuate anche in altre zone del mondo considerate vulnerabili.
Come evidenziato da Bernardo Aliga, esperto di tsunami dell’Unesco, l’allarme non è l’unica priorità, ma serve assicurarsi che la popolazione sappia come reagire. Per questo, le autorità delle città considerate a rischio hanno già introdotto e diffuso piani di evacuazione a cui attenersi, come anche misure per salvaguardare la sicurezza dei turisti. L’allarme, che scatterà dieci minuti prima che le onde s’infrangano sul litorale, sarà diffuso o attraverso un megafono o via Whatsapp. Dal momento che la prima ondata è sempre seguita da una seconda di forza maggiore, che sopraggiunge entro una quarantina di minuti dalla precedente, è importante che le persone siano a conoscenza della necessità di mettersi al riparo, oltre che consapevoli delle modalità di evacuazione.
Come riporta il Guardian, il Segretario esecutivo della Commissione oceanografica intergovernativa dell’Unesco, Vladimir Ryabinin, ha concluso che: “Più di 40 comunità in 21 paesi sono attualmente sicure grazie all’implementazione del programma. Ma, se vogliamo esser pronti ad affrontare questa sfida entro il 2030, dobbiamo estendere il programma quanto più velocemente possibile”.