venerdì, 26 Aprile 2024
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Le popolazioni indigene criticano il sequel di Avatar

"Avatar: la via dell'acqua" di James Cameron è oggetto di critiche da parte degli indigeni per appropriazione culturale e rappresentazione

A più di dieci anni dal successo del film di fantascienza Avatar, James Cameron è tornato con un sequel che porta ancora una volta il pubblico nel lussureggiante mondo di Pandora. Ma alcuni spettatori indigeni non sono particolarmente interessati a tornarci.

Secondo quanto riporta la CNN, il pubblico nativo ha criticato il film Avatar: la via dell’acqua e il suo regista per la sua narrazione da “salvatore bianco”, l’uso di stereotipi e la rappresentazione inadeguata delle popolazioni indigene.

«Il film non è sottile nei suoi temi anticoloniali, antimperialisti e ambientalisti» ha affermato Cameron, riferendosi in precedenza al primo film come «una rivisitazione fantascientifica della storia del Nord e del Sud America nel primo periodo coloniale». Nonostante le intenzioni del regista, i critici di Avatar ritengono che il film non sia all’altezza della sua realizzazione.

Il film originale del 2009 vede il protagonista Jake Sully che viene inviato su Pandora come parte di una missione imperialista. Lì, Sully assume un nuovo corpo che imita l’aspetto dei Na’vi, la specie umanoide blu indigena di questo nuovo ambiente. Mentre il protagonista socializza con i Na’vi e si innamora della principessa Neytiri, è costretto a scegliere tra i due mondi. Nel sequel, Sully è ora il capo dei Omaticaya, mentre lui e la sua famiglia si scontrano ancora una volta con le ambizioni coloniali degli umani.

La decisione di mettere al centro Sully – la cui razza non è esplicitamente menzionata, ma il cui status è un chiaro riferimento ai coloni bianchi – fa leva sulla metafora del “salvatore bianco”.

Secondo Crystal Echo-Hawk, presidente e amministratore delegato di IllumiNative, «Cameron, coinvolgendo un maggior numero di indigeni a tutti i livelli della produzione, avrebbe potuto raccontare una storia più autentica che avrebbe risuonato meglio con il pubblico, non vista soltanto attraverso la lente dell’uomo bianco».

Adam Piron, regista e direttore del programma Indigenous del Sundance Institute, ha dichiarato che «vede l’epopea fantascientifica di Cameron come parte di una lunga storia di registi bianchi che proiettano sullo schermo le loro idee di indigeneità, piuttosto che coinvolgere gli stessi indigeni: tutto ciò che rimane di questi film è il desiderio dei non indigeni di essere indigeni o di avere un qualche tipo di legame con gli indigeni».

I film sono stati anche accusati di appropriazione culturale per il modo in cui mettono insieme elementi disparati delle culture indigene nella loro rappresentazione dei Na’vi fittizi: «è basato sulla concezione che James Cameron ha di ciò che pensa sia la storia indigena, di ciò che pensa sia la cultura indigena. Il regista non fa che appiattire l’identità dei popoli indigeni, le culture, la lingua e le pratiche indigene», aggiunge Piron.

Cameron ha risposto alle critiche rivolte al film all’inizio del mese, dichiarando a Unilad che «l’importante è ascoltare ed essere sensibili ai problemi delle persone: non spetta a me, parlando da una prospettiva di privilegio bianco, se volete, dire loro che si sbagliano».

Martina Tominic
Studentessa della Facoltà di Economia.
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