giovedì, 28 Marzo 2024
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Un carcere a cielo aperto: dalla frontiera messicana agli Stati Uniti

Circa 3000 migranti tentano di oltrepassare il confine per dirigersi negli Stati Uniti, dopo essere rimasti intrappolati nella frontiera del Messico in attesa di documenti mai arrivati

Secondo El País alcuni migranti hanno deciso di lasciare il sud America per recarsi negli Stati Uniti. Alcuni di essi un mese fa sono riusciti ad arrivare a Tapachula, nella frontiera del Messico del sud. Dopo aver dormito nei luoghi pubblici della città, con la speranza di ricevere aiuti umanitari per attraversare la frontiera in modo legale, domenica 23 aprile hanno smesso di aspettare. Si sono messi in cammino con la speranza di riuscire a percorrere la strada senza alcun rischio.  

La loro decisione ha avuto però un seguito rilevante, in quanto intorno alle sei del mattino, circa cento migranti, e più tardi migliaia di essi, hanno cercato di sfidare il governo di Manuel Andrés López Obrador a fermarli. I sudamericani non erano più soli, anzi, un corteo di migranti ha deciso di accompagnarli verso l’uscita della città che li aveva intrappolati.

La motivazione che spinge il corteo a manifestare è l’esigenza di ottenere il libero transito, ma anche di chiedere giustizia per i 40 migranti che sono morti il mese scorso in un incendio nel Centro de Gobierno a Ciudad Juárez. Pertanto, il corteo ha accusato gli agenti della migrazione di essere rimasti impassibili davanti alle grida di quelle persone, perché come si legge nei loro slogan «lo Stato li ha uccisi». Come riporta la CNN, i migranti ritengono la marcia una «via crucis migrante», infatti molti di loro, all’uscita della città di frontiera, portano in spalla delle croci.

Migliaia di migranti si sono ritrovati a celebrare l’uscita da quella città che, legalmente, non gli ha permesso di proseguire il loro cammino fino agli Stati Uniti. Anche un giovane dell’Honduras, dopo spiacevoli accadimenti è riuscito ad uscire da Tapachula insieme a due amici. Ma prima di riuscirci hanno dichiarato a El País di aver ricevuto l’ordine di tornare indietro e di essere stati aggrediti in seguito.

Durante il percorso, le migliaia di migranti che compongono la carovana si sono fermati a riposare a 16 chilometri di distanza da dove hanno cominciato. Il percorso è ancora molto lungo, li aspettano altri 1100 chilometri da percorrere, quindi altri 14 giorni. Ma di sicuro i migranti non mettono in conto il ritorno a Tapachula, anzi preferiscono la morte o qualsiasi altra cosa, purché non si torni indietro.

Nonostante la partenza di domenica 23 aprile, sono ancora molti i migranti in attesa. Gli attivisti locali stimano che nella città ci siano ancora 40.000 migranti bloccati a causa della burocrazia che non permette loro di attraversare il paese. Altri hanno deciso di vivere lì e di lavorare per cento pesos al giorno (circa cinque euro).

Secondo la BBC, il centro di immigrazione a Tapachula -il più grande del Messico- viene chiamato «la prigione dei migranti»; infatti, gli uffici di registrazione dei rifugiati sono sommersi di lavoro. Non a caso, Tapachula è diventata il centro di una crisi umanitaria soprattutto a causa del programma chiamato «Rimani in Messico», che, come accusa El País, solo a parole promuove un Paese aperto ai migranti che vogliono dichiarare il loro stato di rifugiati, ma nella realtà attua una politica infallibile che intrappola migliaia di essi.  

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