sabato, 4 Maggio 2024
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Le università di Stati Uniti e Canada sono più sostenibili di quelle del Regno Unito

Le classifiche si basano su due categorie: l’impatto ambientale, che comprende la sostenibilità istituzionale e l’insegnamento e la ricerca sulla crisi climatica, e l’impatto sociale, che misura l’uguaglianza e la diversità dell’istituto e il modo in cui la giustizia sociale è presente nei programmi di studio e di ricerca.

Al primo posto l’Università della California, Berkeley, seguita da due istituzioni canadesi, l’Università di Toronto e l’Università della British Columbia, mentre l’Università di Edimburgo, al quarto posto, è l’istituzione britannica con i dati migliori, grazie alla sua forte ricerca sulla sostenibilità.

La seconda università britannica è Glasgow, al 13° posto, che secondo la classifica ha ottenuto buoni risultati in materia di uguaglianza, grazie alla presenza di un gran numero di dirigenti donne e all’adozione di un approccio trasparente per la governance. Seguono Oxford, al 16° posto, Newcastle al 18° e Cambridge, al 19° posto.

Andrew MacFarlane, responsabile della classifica QS World University Rankings, ha dichiarato che il Regno Unito ha ottenuto risultati “eccezionalmente buoni”. A tal proposito, ha affermato che «in media, [le università britanniche] dimostrano buone percentuali di diversità di genere, sia a livello di personale che di studenti, impegni pubblicati in materia di diversità e tolleranza, nonché di mitigazione del clima e di governance».

Tuttavia, Quinn Runkle, direttore del settore educativo di Students Organising for Sustainability, ha avvertito -secondo quanto riporta il Guardian– che quasi la metà delle università britanniche non è in regola con gli obiettivi sulle emissioni di carbonio e due quinti non si sono ancora impegnati a disinvestire dai combustibili fossili.

Il ruolo dei laureati

«In tutto il mondo solo il 3% delle persone frequenta l’università, ma i laureati occupano l’80% delle posizioni di comando, quindi le università hanno l’enorme dovere di garantire che i responsabili delle decisioni prendano le giuste decisioni in materia di sostenibilità», ha dichiarato Runkle, aggiungendo che le classifiche di sostenibilità potrebbero essere uno strumento utile per guidare il cambiamento.

Fiona Goodwin, amministratore delegato dell’Alliance for Sustainability Leadership in Education, ha dichiarato che «la sostenibilità è un fattore di scelta sempre più importante per gli studenti».

L’indagine condotta da QS su 3.000 studenti ha rilevato che l’82% dei candidati ha fatto ricerche sull’operato dell’istituto che intendeva frequentare in materia di sostenibilità, mentre l’87% ha preso in considerazione i risultati ottenuti in materia di uguaglianza e diversità. Quasi il 73% degli studenti dell’Europa occidentale hanno citato l’emergenza climatica come il problema principale per i giovani.

La posizione di Edimburgo è stata raggiunta grazie alla produzione di ricerche in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, ai buoni risultati in termini di diversità e alle numerose collaborazioni con università del Sud del mondo.

Dave Gorman, direttore della responsabilità sociale e della sostenibilità dell’Università di Edimburgo, ha dichiarato che l’istituzione mira ad «aumentare le proprie ambizioni di anno in anno», aggiungendo che spera di sviluppare ulteriormente questo obiettivo nel corso del prossimo decennio, ampliando l’attenzione alla sostenibilità per includere la responsabilità sociale, la biodiversità, le risorse e l’economia circolare.

Incidente aereo in Tanzania: 19 morti e 24 sopravvissuti

Il 6 novembre un velivolo commerciale della compagnia Tanzania Precision Air ha effettuato un atterraggio di emergenza nel Lago Vittoria, a circa 150 metri dall’aeroporto di Bukoba, luogo previsto per lo sbarco dei passeggeri.

A bordo c’erano in tutto 43 persone tra cui 39 passeggeri, 2 piloti e 2 assistenti di volo. Secondo un comunicato rilasciato dalla compagnia aerea la sera del 6 novembre, il bilancio dell’incidente sarebbe di 19 morti e 24 sopravvissuti.

Il primo ministro tanzaniano Kassim Majaliwa ha affermato che le autorità competenti hanno recuperato tutti i corpi presenti all’interno dell’aereo, ma l’identificazione delle vittime non è ancora terminata.

Il volo era partito circa alle 6 del mattino, ora locale, dall’aeroporto di Dar es Salaam e il suo atterraggio era previsto alle 8.30 circa presso la città di Bukoba. Tuttavia, secondo quanto riportato dal Presidente della compagnia aerea Patrick Mwanri, alle 8:53 il centro operativo di controllo della compagnia non aveva ancora ricevuto la comunicazione dell’atterraggio. Solo in seguito, dunque, sarebbe scattato l’allarme e sarebbero cominciati i tentativi di ricerca del velivolo.

In base alle interviste dei sopravvissuti, rilasciate al giornale tanzaniano The Citizen, il velivolo avrebbe allungato la rotta aerea giungendo fino al confine con l’Uganda, per poi virare vicino a Bukoba, nei pressi del Lago Vittoria.

La causa principale dell’incidente sembrerebbe il maltempo improvviso: Makame Mbarawa, ministro tanzaniano dei trasporti, ha dichiarato alla CNN che le condizioni metereologiche intorno alle 8 del mattino erano favorevoli, ma in seguito, un fortissimo temporale e delle raffiche di vento di 43-45 chilometri orari, avrebbero ridotto la visibilità del pilota. Di qui la decisione di effettuare un atterraggio di emergenza nel Lago Vittoria.

In seguito all’incidente aereo, il Presidente Samia Suluhu Hassan ha richiamato alla calma i cittadini e ringraziato i soccorritori per la repentinità e l’efficacia del loro lavoro. Inoltre si è rivolto ai parenti e familiari delle vittime facendo loro le più sentite condoglianze. Il primo ministro, invece, ha affermato che l’incidente aereo non mina la credibilità e la sicurezza di Tanzania Precision Air che sta facendo tutto il possibile per recuperare gli averi dei passeggeri.

La compagnia aerea ha infatti istituito un centro informativo per i parenti delle vittime volto a trasmettere tempestivamente ulteriori comunicazioni. Le autorità competenti, invece, apriranno un’indagine sul caso.  

Cina: strategia Zero-Covid e nuovi lockdown

Con oltre cinquemila nuovi casi di positività al Covid-19 registrati negli ultimi giorni, la Cina fa un salto indietro nel tempo di sei mesi, in quanto non si registravano numeri così alti dallo scorso maggio.

La Cina è nota per la sua politica “Zero-Covid”, una strategia che permette di estinguere i focolai del virus non appena emergono, imponendo restrizioni, test di massa e lunghe quarantene.

Una politica non ben accolta dagli abitanti del paese, che ultimamente avevano sperato potesse affievolirsi.

Nonostante la crescente frustrazione pubblica, l’impegno per la politica di tolleranza zero da parte Pechino è stato ribadito nuovamente dal funzionario per il controllo delle malattie Hu Xiang.

«La pratica ha dimostrato che la nostra politica di prevenzione e controllo della pandemia, insieme ad una serie di misure strategiche, sono completamente corrette, oltre che le più economiche e le più efficaci» ha affermato Xiang.

«Dovremmo aderire al principio di mettere le persone e le vite al primo posto e alla strategia più ampia di prevenire le importazioni dall’esterno e i rimbalzi interni».

Nonostante la politica attiva però, i focolai nel paese sembrano essere sempre più estesi.

La maggior parte dei nuovi casi è stata rilevata nel distretto di Haizhu, attualmente in lockdown.

Nel distretto, sono stati sospesi i servizi di autobus e metropolitana e i residenti esortati a rimanere a casa.

Nella Cina centrale, dove si trova lo stabilimento di Zhengzhou, la più grande fabbrica al mondo di produzione di telefoni Apple, è stato imposto il lockdown per frenare la diffusione dei nuovi casi Covid.

Le autorità cinesi hanno imposto il blocco a 600.000 persone nell’area che circonda lo stabilimento di produzione di iPhone.

L’applicazione delle restrizioni però, non ha impedito allo stabilimento, che impiega circa 200.000 persone, di continuare la sua produzione.

Nella fabbrica, infatti, in osservanza della strategia “Zero-Covid” in azione nel paese, sono attive rigide misure di contenimento, che non prevedono il blocco della produzione ma costringono i lavoratori ad operare in un sistema a “circuito chiuso”.

In Cina, dunque, le aziende in aree a rischio vengono spesso autorizzate a rimanere operative in un sistema in cui il personale vive e lavora in loco.

Le prime misure anti-Covid attivate nello stabilimento risalgono al mese di ottobre, quando ai lavoratori è stato chiesto di mangiare nei dormitori e non più nelle mense.

La situazione sarebbe poi degenerata negli ultimi giorni, con scorte alimentari e mediche in esaurimento e con i lavoratori rinchiusi nei dormitori per la quarantena indetta a causa dei nuovi focolai.

In seguito all’impatto che le nuove restrizioni stanno avendo sulla produzione dello stabilimento di Zhengzhou, la Apple ha dichiarato in un comunicato stampa che: «La struttura opera a capacità notevolmente ridotte. Ci aspettiamo che i clienti sperimenteranno tempi di attesa molto lunghi nel ricevere i loro prodotti. Come abbiamo fatto durante la pandemia di Covid-19, stiamo dando la priorità alla salute alla sicurezza dei lavoratori della nostra filiera» riporta il The Guardian.

Ucraina: continuano ad arrivare aiuti militari dall’Occidente

Oleksij Reznikov, ministro della Difesa ucraino in carica dal 4 novembre 2021, ha confermato che i sistemi di difesa aerea occidentali NASAMS (acronimo di National Advanced Surface-to-Air Missile System), un sistema d’arma antiaereo a corto e medio raggio, e i missili guidati Aspide, progettati per colpire bersagli aerei entro un raggio d’azione di 25 km, sono arrivati nel Paese.

Come riporta l’emittente radiofonica Voice of America, Reznikov ha ringraziato nello specifico Stati Uniti, Spagna e Norvegia per la recente fornitura di armamenti fondamentali, se non indispensabili, per aiutare l’Ucraina a difendersi da missili e droni kamikaze russi, che attaccano le infrastrutture energetiche del Paese. Tale ringraziamento, giunge a pochi giorni dall’annuncio di Greg Hayes, direttore generale dell’azienda produttrice di missili NASAMS, che aveva preannunciato alla CNBC la consegna della strumentazione militare necessaria.

Nel dettaglio, Il sistema di difesa aerea mobile NASAMS è stato sviluppato negli anni ’90 dall’azienda norvegese Kongsberg Defence&Aerospace in cooperazione con l’aziendastatunitense Raytheon: esso viene utilizzato contro missili di navi militari, droni, aerei ed elicotteri. A seconda della tipologia di missili impiegati, il raggio d’azione può variare da 20 a 180 km e l’altezza di abbattimento è fino a 21 km.L’arrivo di sistemi come il NASAMS, che l’Ucraina aveva da tempo richiesto agli alleati, rende finalmente possibile la creazione di una difesa a più livelli, capace di garantire al paese la possibilità di abbattere missili e droni a lunga distanza.

Come fa notare una valutazione della BBC Russian News, se da un lato la Russia, in risposta alle forniture occidentali di difesa aerea, può utilizzare armi alternative tanto letali e distruttive quanto le precedenti, dall’altro va precisato che le capacità militari effettive del paese sono in realtà limitate: benché la Russia vanti la disponibilità d’armi ipersoniche, il loro effettivo impiego risulta essere troppo costoso e per questo vengono utilizzate assai di rado.

A poche ore dai ringraziamenti di Oleksij Reznikov, l’autorevole Royal United Service Institute for Defence and Security Studies (RUSI), fonte più che attendibile nell’analisi militari condotte, ha spento gli entusiasmi, avvertendo che senza un tempestivo e continuativo sostegno da parte dell’Occidente, Kiev potrebbe esaurire i missili di difesa aerea, dando così alla Russia la possibilità di attaccare liberamente, di nuovo, per via aerea.

Belgrado e Pristina di nuovo ai ferri corti: dimissioni di massa dei funzionari serbi

L’obbligo di adottare una targa appartenente allo stato del Kosovo quando ci si trova nel suddetto territorio non piace né ai cittadini serbi né tantomeno al loro governo, che decide di non riconoscere e implementare tale regola anche per ribadire la propria posizione politica avversa a riconoscere l’esistenza del Kosovo come stato indipendente.

Come riporta euronews, dopo l’avviso delle imminenti sanzioni pecuniarie per chi utilizzerà una targa serba sul territorio del Kosovo, i serbi residenti nel nord del paese hanno deciso di manifestare il loro dissenso con un’ondata di dimissioni fra le fila dei funzionari pubblici (giudici e forze dell’ordine in particolare) che si sono poi riuniti in una grande manifestazione nella località Mitrovica, dove i serbi sono la maggioranza dei residenti.

La disputa sulle targhe è solo l’ennesimo motivo di frizioni fra i due governi e fra i vari popoli della regione: nel nord del paese la presenza dei serbi ortodossi non è trascurabile e la convivenza con kosovari e albanesi di fede islamica non è mai stata facile. Secondo i residenti serbi, oltre alle tensioni sociali vi è la chiara intenzione del governo di Pristina di privare i serbi dei loro diritti con il fine ultimo di indurli a lasciare il paese.

Dopo le proteste di Mitrovica, che hanno anche visto alcuni momenti di tensione, il politico serbo Goran Rakić (dimissionario anche lui dalla carica di ministro per la comunità e il ritorno dei profughi) ha rincarato la dose ribadendo con forza che i serbi non si arrenderanno alle richieste delle autorità kosovare.

Pristina intanto non sembra voler cambiare le regole ed i kosovari si appellano al contingente della KFOR in caso di un inasprimento delle tensioni e di possibili rivolte più gravi.

Dall’Europa arriva il tentativo di calmare le acque con il consiglio per entrambi i paesi di evitare decisioni unilaterali e di cercare una soluzione a livello europeo, per evitare di vanificare anni di lavoro fatti per stabilizzare le relazioni.

Al via la COP27 sul clima in Egitto: tra aspettative e realtà

Il 6 novembre si è aperta a Sharm el Sheikh, località turistica sul Mar Rosso, la 27esima Conferenza delle Parti (COP27) sul clima. La conferenza vede protagonisti leader mondiali, politici, scienziati, esperti e attivisti di questioni climatiche, tutti uniti da un unico obiettivo: trovare delle soluzioni condivise per salvare il pianeta dai cambiamenti climatici.

La conferenza sul clima, a cadenza annuale, riunisce i rappresentanti di tutti gli Stati firmatari della Convenzione delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico, entrata in vigore 30 anni fa. Data l’ampia adesione al trattato contro la crisi climatica, è prevista una grande partecipazione alla COP27 in Egitto.

Tra il 6 e il 7 novembre sono infatti giunti nel Paese africano i principali capi di Stato o di governo mondiali, tra cui anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La conferenza si è aperta con l’invito del presidente della COP27, il ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry, a non mettere in secondo piano la crisi climatica, in quanto «riguarda il nostro presente e il nostro futuro».

La cerimonia di apertura è poi proseguita con un video-messaggio del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres che, come riporta la BBC, si è mostrato preoccupato per gli scenari evidenziati dal report sullo stato globale del clima del 2022. Ha inoltre invitato i leader globali ad assumersi le loro responsabilità e a cooperare per trovare dei compromessi «efficaci» e «urgenti».

Il 7 novembre le parti convenute sono giunte ad una prima intesa per dare il via ai negoziati sui finanziamenti per coprire i danni causati da eventi metereologici straordinari, tematica discussa già durante la precedente COP26 di Glasgow.

La richiesta di finanziamenti per danni (e la rinegoziazione del loro ammontare) è sentita particolarmente dal continente africano che subisce gli impatti climatici più gravi rispetto al resto del mondo, nonostante produca meno del 4% delle emissioni globali di gas serra.

La COP27 vede in primo piano le necessità del continente, che, però potrebbero allontanare il raggiungimento degli obiettivi previsti dall’agenda climatica: l’abbassamento della temperatura terrestre, la riduzione delle emissioni di gas serra e l’impiego di energie rinnovabili.

La scelta dei rappresentanti africani verso la difesa dell’energia fossile – riaffermata durante la pre-COP presso la Repubblica Democratica del Congo – sarebbe infatti contestata sia dai leader dei paesi industrializzati che dagli attivisti. Tuttavia, come affermato da Amani Abou-Zeid, commissaria dell’Unione africana per le infrastrutture e l’energia, «l’Africa ha il diritto di realizzare sistemi produttivi competitivi e industrializzati».

La divergenza sull’impiego del fossile, ancora la risorsa energetica primaria soprattutto a seguito della guerra tra Russia e Ucraina, potrebbe essere dunque un fattore di frizione tra gli Stati partecipanti alla COP.

Inoltre, il mancato coinvolgimento e in molti casi la repressione – come riportato da Human Rights Watch – degli ambientalisti egiziani minerebbe il fondamentale legame che dovrebbe esistere tra ambiente e giustizia sociale.

Europa ed emergenza climatica: le temperature sono salite il doppio rispetto al resto del mondo

Il 2 novembre, la WMO (organizzazione meteorologica mondiale) ha pubblicato dei dati sul riscaldamento globale in vista della COP27: le temperature medie in Europa sono salite ad un ritmo doppio rispetto al resto del mondo e gli eventi atmosferici estremi (bombe d’acqua, ondate di calore, incendi, inondazioni) sono sempre più frequenti in tutto il continente, anche nelle zone in cui prima erano considerati fenomeni eccezionalmente rari.

Come riportato sul sito ufficiale della World Meteorological Organization, l’aumento della temperatura è stato di 0,5 gradi per decennio: un numero preoccupante di cui le conseguenze sono già visibili anche sui ghiacciai alpini, che si sono ritirati di ben 30 metri dal 1997.

Nel solo anno 2021 vi sono state centinaia di morti soprattutto a causa di tempeste e alluvioni, danni stimati in circa di 50 miliardi dollari e disagi per milioni di persone. Le previsioni non sono rosee: il 2022 è stato uno degli anni più caldi di sempre ma in futuro potrebbe essere ricordato come uno dei più freschi. 

Nessuna società avanzata sembra essere al sicuro da tali eventi e ciò che è accaduto in Europa è un avvertimento di quel che potrebbe accadere anche in altre parti del mondo.

Nonostante ciò, la mitigazione di alcuni fenomeni atmosferici sarebbe avvenuta con successo grazie alle politiche ambientali e climatiche adottate a partire dagli anni 90. L’Europa è sulla strada giusta per diventare il primo continente a zero emissioni e potrebbe quindi aprire la strada per gli altri continenti tra cui l’Asia, dove India e Cina sono le due economie più inquinanti in assoluto.      

Rimane comunque molto difficile convincere tutti i governi del mondo a cooperare per ridurre le emissioni. Parte delle condizioni causate dal cambiamento climatico sarebbero ormai irreversibili e l’obiettivo finale è quello di rallentare più possibile il processo di riscaldamento piuttosto che fermarlo del tutto, ipotesi al momento irrealistica a causa degli interessi diversi di ogni paese e dei costi elevati.

I tassi di interesse continuano a salire: a che livello arriveranno?

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La Federal Reserve (Fed) utilizzerà dei dati economici concreti che andranno a influire sui principali rapporti sull’edilizia abitativa, sul lavoro e sull’inflazione causando un effetto maggiore sul mercato. Il derivante innalzamento dei tassi di interesse potrebbe essere oggetto di speculazione da parte degli investitori.

Il presidente della Federal Reserve Jerome Powell mercoledì scorso ha distrutto le speranze degli investitori di una svolta sui tassi di interesse e ha fatto crollare le azioni. «Abbiamo ancora molta strada da fare», ha detto Powell dell’attuale regime di rialzi della Fed per combattere l’inflazione persistente.

Powell ha però aggiunto un importante avvertimento. La Fed potrebbe iniziare a rallentare il ritmo di questi dolorosi rialzi già a dicembre. «Le nostre decisioni dipenderanno dall’insieme dei dati in arrivo e dalle loro implicazioni per le prospettive dell’attività economica e dell’inflazione», ha dichiarato Powell.

Tra le questioni più nevralgiche per la Fed, vi è il mercato del lavoro statunitense. Infatti, la domanda di lavoro continua a superare l’offerta di lavoro e questo significa più inflazione. Le imprese devono pagare salari più alti per attirare i dipendenti e sono in grado di far pagare di più i loro beni e servizi.

Prima della riunione della Fed è previsto un altro rapporto sull’occupazione a dicembre. Se entrambi i rapporti mostrano una traiettoria al ribasso dell’occupazione, significa che il tasso di disoccupazione rimane storicamente basso.

Per quanto riguarda i dati sull’inflazione, prima della prossima riunione della Federal Reserve, si attendono i nuovi dati di due importanti indici che misurano il ritmo dell’inflazione.

L’indice dei prezzi al consumo di ottobre, che tiene conto delle variazioni dei prezzi di un insieme fisso di beni e servizi, sarà pubblicato il 10 novembre.

Il 1° dicembre la Fed vedrà anche i dati di ottobre della spesa per consumi personali, che riflette le variazioni dei prezzi di beni e servizi acquistati dai consumatori negli Stati Uniti. La Fed ritiene che questa misura sia più accurata dell’indice dei prezzi al consumo perché tiene conto di una gamma più ampia di acquisti da parte di un numero maggiore di acquirenti.

Inoltre, il mercato immobiliare è stato profondamente colpito dagli sforzi della Fed per combattere l’inflazione ed è uno dei primi settori dell’economia a mostrare segni di raffreddamento.

I mutui a tasso fisso a 30 anni hanno registrato una media del 6,95% la scorsa settimana, rispetto al 3,09% di un anno fa, e gli elevati costi di finanziamento stanno portando a un calo della domanda.

«Il mercato immobiliare è stato molto surriscaldato per un paio d’anni dopo la pandemia, quando la domanda è aumentata e i tassi erano bassi», ha dichiarato mercoledì Powell. «Ci rendiamo conto che è proprio questo l’effetto principale delle nostre politiche».

I dati sulle vendite di case nuove ed esistenti di ottobre, previsti per il 18 e il 23 novembre, mostreranno il continuo impatto di questa politica prima della prossima riunione.

Algeria, l’inglese verrà insegnato fin dalle scuole primarie

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Il Presidente algerino Abdelmadjid Tebboune ha deciso, durante una riunione governativa dello scorso giugno, di inserire l’insegnamento della lingua inglese nei programmi scolastici delle scuole primarie. In questo modo, l’inglese sarà considerato come seconda lingua nel Paese alla pari del francese.

La decisione del Presidente è stata accolta con entusiasmo dall’opinione pubblica algerina. I partiti e le associazioni culturali nel Paese, infatti, premevano già da tempo le istituzioni affinché la lingua inglese fosse insegnata già agli studenti delle scuole primarie. Opinione condivisa anche da genitori e insegnanti, in quanto ritengono che la lingua inglese possa dare più opportunità lavorative e accademiche ai giovani algerini rispetto al francese.

Il nuovo ruolo affidato alla lingua inglese in Algeria e in generale nella regione è sostenuto anche da numerosi islamisti arabi, tra cui spicca Tareq Al-Suwaidan che, in occasione di una conferenza all’università marocchina di Temara nel 2016, ha incoraggiato gli studenti marocchini ad abbandonare la lingua francese e ad adottare quella inglese, descritta come «la lingua della scienza, della civiltà e del commercio».

L’invito a superare «l’egemonia culturale francese» è stato recepito in maniera significativa dall’Algeria sia dai vertici istituzionali che dalla società civile, spinti dal desiderio di tagliare i rapporti con la Francia, ex potenza coloniale. Emblematiche in tal senso sono state le parole del Presidente Tebboune – riportate da Middle East Monitor – che ha definito la lingua francese «bottino di guerra» e «inutile».

Secondo un sondaggio effettuato dal ministero dell’educazione e della ricerca scientifica, circa il 94% della popolazione è d’accordo con la sostituzione del francese con l’inglese sia a scuola che nell’amministrazione.

Esistono delle esigue resistenze da parte delle vecchie generazioni, abituate ormai all’utilizzo del francese nel settore commerciale ed imprenditoriale. Ma le cose stanno cambiando in quanto, l’apertura dell’Algeria al commercio internazionale, specialmente per la vendita di risorse energetiche, sta spingendo le aziende nazionali ad utilizzare l’inglese per le trattative.

Inoltre, anche in ambito diplomatico la lingua inglese ha assunto maggior influenza, i comunicati ufficiali sono infatti redatti in arabo e inglese. In occasione della visita in Algeria del Presidente francese Macron, il posto d’onore riservato a Macron era indicato con la scritta “French Presidency”. L’assenza della lingua francese durante il ricevimento ha sorpreso gli ambasciatori presenti che non si aspettavano un’azione del genere da parte dell’Algeria.

La decisione del Presidente Tebboune di inserire l’inglese nei programmi scolastici fin dalla primaria, dunque, è la rappresentazione di una nazione «stanca del francese», come dichiarato da un’insegnante intervistata da Africanews, e aperta a nuove opportunità a livello locale e internazionale.

Elezioni Israele: Netanyahu è di nuovo premier

L’ex primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha di nuovo vinto le elezioni, ottenendo la maggioranza dei seggi nel parlamento con la sua coalizione di destra.

I risultati elettorali, annunciati giovedì 3 novembre, mostrano che l’ex premier e i suoi alleati nazionalisti, hanno conquistato 64 seggi nel parlamento su 120, di cui 32 sono andati al partito di Netanyahu, il Likud.

Gli oppositori della colazione centrista, guidata dal primo ministro uscente Yair Lapid, hanno ottenuto 51 seggi, con il numero restante di seggi detenuto da un altro partito arabo non affiliato a nessuna delle due coalizioni.

Lapid si è congratulato con Netanyahu affermando che: «Lo Stato di Israele viene prima di qualsiasi considerazione politica. Auguro successo a Netanyahu, per il bene del popolo di Israele e dello Stato di Israele», riporta la BBC.

Da questo momento, Nethanyahu avrà 28 giorni per formare quello che si prevede sarà il governo israeliano più di destra della storia del PAese. 

Quando fu estromesso dal potere nel 2021, dopo 12 anni come primo ministro, Netanyahu promise con aria di sfida che prima o poi sarebbe tornato al governo.

I risultati di queste elezioni, infatti, nonostante il processo penale in corso per presunta corruzione, frode e violazione della fiducia, hanno sugellato la sua promessa, rendendolo il leader che ha vinto più elezioni di qualsiasi altro primo ministro nei 74 anni di storia del Paese.

Quanto alle accuse su di lui, si presume che abbia accettato denaro da uomini d’affari e dispensato diversi favori per ottenere una copertura stampa più positiva.

Netanyahu nega ogni accusa e si dichiara vittima degli oppositori politici di centrodestra e di sinistra, che lo definiscono un pericolo per la democrazia israeliana, descrivendolo come una figura “ultra-divisiva”.

Tuttavia, tutto ciò non ha danneggiato la sua campagna elettorale.

Il successo di Netanyahu deve molto alla reputazione che ha coltivato negli ultimi anni come l’unica persona che può gestire al meglio le forze ostili del Medio Oriente per proteggere Israele.

Netanyahu, 73 anni, è una delle figure politiche più controverse di Israele, odiata da molti oppositori ma adorata dai suoi sostenitori.

La sua politica è molto dura nei confronti dei palestinesi, in quanto egli è un convinto sostenitore della costruzione di insediamenti ebraici nella Cisgiordania occupata, opponendosi in questo modo al diritto internazionale, che li ritiene illegali.

Sebbene nel 2009 avesse pubblicamente annunciato la sua accettazione di uno Stato palestinese insieme ad Israele, in seguito ha rafforzato la sua posizione contraria, dichiarando che nessuno Stato palestinese sarebbe stato creato.

Gli attacchi palestinesi e l’azione militare israeliana hanno ripetutamente portato Israele a confrontarsi dentro e intorno alla Striscia di Gaza durante il suo periodo in carica come primo ministro.

Netanyahu, durante la campagna elettorale, ha promesso di formare un governo nazionale stabile.

Prima ancora della vittoria effettiva, egli ha dichiarato che il suo governo: «si prenderà cura di tutti i cittadini di Israele, senza eccezioni, perché lo Stato appartiene a tutti noi».