sabato, 4 Maggio 2024
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Ritrovato acquedotto in Armenia risalente all’Impero Romano

Durante gli scavi dell’antica città di Artašat (capoluogo della provincia di Ararat, Armenia), gli archeologi hanno rinvenuto tracce dell’acquedotto più orientale dell’Impero Romano. Parliamo di una costruzione risalente agli inizi del II secolo d.C., periodo di massimo splendore per l’Impero.

In seguito ad un’attenta analisi del carbonio prelevato da campioni di quel suolo, gli esperti sono giunti alla conclusione che la realizzazione dell’acquedotto sia iniziata negli ultimi anni del regno di Traiano. L’Armenia, infatti, divenne per la prima volta una delle tante province dell’Impero nel 114, comprendendo i territori dell’attuale Turchia orientale, dell’Armenia moderna, della Georgia, dell’Azerbaigian e una piccola parte dell’Iran nord-occidentale. Roma aveva già tentato ripetutamente in precedenza di occupare la Grande Armenia, ma i re della dinastia egli Arsacidi d’Armenia (Arshakuni) mantennero a lungo la loro indipendenza, finché Traiano non conquistò il loro territorio.

L’acquedotto è rimasto incompiuto, ma qualora fosse stato completato, la sua lunghezza sarebbe stata di 30 chilometri, e avrebbe separato la città di Artašat dalla fonte d’acqua più vicina, ovvero la sorgente del fiume Vedi.

«Non è stato completato a causa del ritiro dall’Armenia dell’imperatore Adriano dopo la morte di Traiano, nel 117», ha spiegato Torben Schreiber, uno degli autori degli scavi, ricercatore presso l’Università di Munster. Tuttavia, ciò non ci impedisce di ammirare comunque l’impegno e la maestria con i quali venivano costruite le infrastrutture romane. 

Modello dell’antica città di Artašat. Fonte: Wikimedia Commons

Artašat nell’antichità era sia la capitale che uno dei più grandi centri commerciali e militari della Grande Armenia. Per trovare i possibili confini dell’antica città, gli scienziati si sono serviti di lettori geomagnetici dell’aria, che hanno permesso loro di scoprire una moltitudine di elementi portanti nascosti nella valle dell’Ararat – situati ad eguali distanze l’uno dall’altro ed allineati su una retta lunga 400 metri.

Studiando ed analizzando molti di questi, è emerso che rappresentano le fondamenta degli archi di questo acquedotto romano incompiuto, e le loro caratteristiche (come, ad esempio, la forma e la struttura) indicano che gli archi in questione siano stati costruiti da ingegneri e legionari romani.

I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica in lingua tedesca Archäologischer Anzeigerm, specializzata nel campo dell’archeologia.

Covid-19 in Russia: record di morti dall’inizio della pandemia

Il totale dei nuovi contagiati su tutto il territorio della Federazione Russa ammonta a 36.626, stabilendo così il record dallo scoppio della pandemia pari a 9.182.538. È stato reso noto dai giornalisti della sede operativa federale per la lotta contro le malattie. In concreto, l’indice di contagio è salito dello 0,4%.

La curva dei contagi appare piuttosto diversificata in base alla posizione geografica. In particolare, a San Pietroburgo si sono registrati 2.793 nuovi casi.

Al contrario, nella regione di Samara così come nella Repubblica di Crimea, nella regione di Nižhnij Novgorod e in quella di Voronež, si è verificato il fenomeno opposto. Rispettivamente, il divario tra numero di contagiati e numero di guariti è diminuito di 1.1785, 867, 778 e 747 unità. Pertanto, il numero di persone attualmente positive che necessitano di cure mediche, per la prima volta dal 9 settembre, si è ridotto a 1.040.618. 

Cattedrale di San Basilio, Mosca (Russia), fonte Wikimedia Commons.

La situazione epidemiologica in Russia rimane stabile: ciò nonostante, il record del numero di morti è aumentato lievemente passando da 1.247, dato registratosi il 16 novembre, a 1.240 del giorno precedente.

In termini assoluti, il precedente primato in negativo di 1.241 morti a causa del virus si era verificato il 13 novembre. Secondo quanto è stato riportato dalla sede operativa federale per la lotta contro le malattie, il tasso di mortalità è pari allo 2,82%. Concretamente, nell’arco della giornata del 16 novembre sono stati registrati 84 casi letali a San Pietroburgo, 58 nella regione di Krasnodar, 44 nella regione di Stavropol, 40 nella regione di Nižhnij Novgorod e 37 nella regione di Volgograd e nella regione di Perm.

Si è altresì registrato un nuovo record in positivo: il numero di guariti nell’arco di una giornata. 

Il totale è pari a 36.388 nuove guarigioni, cifra che rappresenta per l’appunto il nuovo primato dall’inizio della pandemia. In altre parole, secondo quanto è stato reso noto dalla sede operativa federale, il totale dei guariti dallo scoppio della pandemia da Covid-19 è salito a 7.882.836 unità, cifra che rappresenta l’85,8% dei pazienti non più affetti dal virus.

Nello specifico, risultano essere 2.573 i guariti a San Pietroburgo, 988 nella Repubblica Di Saсha (Jacuzia), 978 nella regione di Samara, 866 nella Repubblica di Crimea e 814 nella regione di Brjansk.

Atene rivuole i marmi del Partenone, ma il British Museum non ci sta

Durante la 41ª Conferenza Generale dell’UNESCO tenutasi a Parigi, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha rivendicato il diritto della Grecia di riavere indietro i marmi del Partenone. Sono infatti attualmente in possesso del British Museum, che però non sembra intenzionato ad effettuarne la restituzione.

«I monumenti emblematici connessi intrinsecamente all’identità di una nazione dovrebbero appartenere a quella nazione» ha insistito Mitsotakis, dopo aver sottolineato la rilevanza simbolica di queste sculture. Parliamo di una parte significativa del patrimonio culturale mondiale, rappresentante una sorta di filo invisibile che unisce i greci contemporanei ai propri antenati. La volontà quindi del primo ministro greco è quella di far tornare le statue al Museo dell’Acropoli di Atene, dove le attendono le restanti opere del Partenone.

Inoltre, la Grecia celebrerà quest’anno il 200° anniversario della Guerra d’Indipendenza, e secondo quanto detto dal rappresentante del paese, «quale miglior momento per riunire la sezione mancante delle sculture del Partenone al suo luogo di nascita in Grecia».

Tuttavia, il primo ministro britannico Boris Johnson ha respinto questa richiesta, affermando che il legittimo proprietario dei marmi è il Regno Unito. A differenza di quanto dichiarato da Mitsotakis, secondo lui non sono stati infatti «rubati nel XIX secolo», ma sono stati «ottenuti legalmente da Lord Elgin, in ottemperanza alle leggi vigenti in quell’epoca, per poi diventare proprietà legale degli amministratori fiduciari del British Museum».

Lotta tra centauro e lapite, Metopa del Partenone. Fonte: Wikimedia Commons

«Non può esserci un dialogo tra le nazioni senza un dialogo tra le culture», è stata la pronta risposta del rappresentante ellenico di fronte all’evidente riluttanza inglese.

Ad intervenire nella disputa è stato anche il Comitato Intergovernativo dell’UNESCO, che nel settembre del 2021 ha stabilito «l’obbligo del Governo britannico di rendere le sculture del Partenone al loro paese d’origine».

Nel corso dell’incontro tenutosi martedì 16 novembre tra Boris Johnson e Kyriakos Mitsotakis, quest’ultimo ha dichiarato anche che Atene sarebbe disposta a concedere in prestito persino altri reperti archeologici che fino ad oggi non hanno mai lasciato la nazione, come ad esempio la Maschera di Agamennone o il Cronide di Capo Artemisio, pur di riavere indietro le statue.

Pare però che Johnson abbia respinto tale richiesta, sollevando il proprio governo dalla responsabilità e delegando la decisione allo stesso British Museum, che fino ad ora sembra intenzionato ad opporsi duramente ad ogni genere di “baratto”.

L’Italia sempre più importante per gli Stati Uniti: ecco il perché

Secondo Loren Thompson, esperto di sicurezza internazionale di Forbes, il ruolo strategico dell’Italia sta cambiando. Il nostro paese si sta avvicinando sempre di più agli Stati Uniti. Ma quali sono le ragioni dietro questo “avvicinamento”?

Che il Bel Paese fosse dal punto di vista geografico interessante, forse già lo sapevamo. Il suo clima caldo e la sua posizione al centro del Mediterraneo ne hanno da sempre costituito un punto di forza, sia a livello commerciale che culturale. A un primo sguardo ciò che potrebbe accrescere la sua utilità è senza dubbio centralità della posizione del territorio italiano. Geograficamente il Paese è posizionato in un punto chiave tra Est e Ovest e tra Nord e Sud.
Se si analizzano i paesi vicini facendo considerazioni politiche generali, anche i meno esperti potranno notare che a causa della Brexit e l’uscita conseguente della Gran Bretagna dall’Unione Europea l’atteggiamento britannico è decisamente mutato, focalizzandosi in questo primo momento su altre questioni. La Germania e la Francia, invece, presentano una situazione diversa. La prima appare fortemente incentrata nell’acquisizione della sua supremazia politica, sostiene ancora Thompson, e la seconda risulta orientata verso un cambiamento degli accordi sulla sicurezza. L’Italia, a conti fatti ed in silenzio, risulta quindi il partner più affidabile, in quanto la lista degli alleati su cui gli Stati Uniti contano incondizionatamente indubbiamente si restringe.
Analizzando la questione dal punto di vista strettamente istituzionale sembrerebbe pertanto che i rapporti interni alla NATO si stiano dirigendo verso un cambiamento sostanziale. Per ipotizzare quindi un avvicinamento di questo tipo, tra Italia e gli Stati Uniti base fondamentale è la somiglianza di valori tra i due paesi, per la quale condivisione di un patrimonio comune risulta essenziale. Tale “vicinanza” è altresì supportata dalla similarità della politica estera di entrambi i paesi, politica che attualmente sembra vertere verso un costante sviluppo delle relazioni bilaterali.
In ultimo, ma non per questo non degni di nota, si potrebbero considerare altrettanto fondamentali gli investimenti fatti da parte dello stato Italiano sul piano militare, che hanno portato ad una migliore gestione delle risorse a disposizione. Con un limitato budget il nostro paese risulta comunque uno stato chiave nel programma F-35, fornendo parti fondamentali per gli assemblaggi dei caccia.

Nuovo record per Frida Kahlo: è l’artista latino-americana più quotata di sempre

34,9 milioni di dollari. È questo il prezzo al quale è stato venduto all’asta uno degli ultimi autoritratti della pittrice messicana Frida Kahlo, battendo ogni record latino-americano.

Parliamo di Diego y yo, un quadro di piccole dimensioni risalente al 1949, che mostra il volto dell’autrice con la figura di Diego Rivera impressa sulla fronte, quasi come fosse una presenza inquietante. Inoltre, l’uomo appare con un ulteriore terzo occhio, a simbolizzare il controllo costante che aveva sulla vita della moglie.

«È stato dipinto lo stesso anno in cui Diego iniziò una relazione amorosa con María Félix», ha spiegato Anna di Stasi, responsabile della sezione artistica latino-americana della casa d’aste Sotheby’s.  «Questo potente ritratto è l’articolazione su tela della sua angoscia e del suo dolore».

Il ritratto è stato la star dell’asta tenutasi questo martedì 16 novembre a New York, ed è stato venduto al fondatore del Museo d’Arte Latino-americana di Buenos Aires (MALBA), l’imprenditore argentino Eduardo Constantini. Non verrà, però, esposto nella pinacoteca, ma verrà custodito nella sua collezione privata, dove sono già presenti altri capolavori di rinomati artisti, come ad esempio l’avanguardista cubano Wilfredo Lam e la surrealista ispano-messicana Remedios Varo.

«È un riassunto di tutta la passione e il dolore dell’autrice»

Grazie a tale cifra, Frida Kahlo entra nella storia come autrice latino-americana più quotata della storia, superando persino il marito (10 milioni di dollari nel 2018 per il quadro Los rivales) e stabilendo anche un record per l’opera mondiale di una donna, seconda solo a Georgia O’Keefe (44 milioni di dollari nel 2014).

Fino ad ora, il prezzo più alto pagato per un quadro di Frida Kahlo era stato otto milioni di dollari per Dos desnudos en el bosque, circa cinque anni fa.

«Il risultato [dell’asta] di questa notte potrebbe essere definito come la massima vendetta, ma in realtà non è altro che il massimo riconoscimento dello straordinario talento e del fascino globale di Kahlo», sono state le parole di Anna di Stasi. «Diego y yo è molto più di un dipinto fatto bene. È un riassunto di tutta la passione e il dolore dell’autrice».  

USA-Cina: il primo “faccia a faccia” virtuale

Dopo la presidenza di Donald Trump, in cui le relazioni diplomatiche tra Usa e Cina avevano quasi raggiunto il punto di rottura, con l’insediamento alla Casa Bianca di Biden si sono fatti alcuni passi in avanti per provare a riavviareil dialogo.

I primi tentativi di dialogo, alcuni testate giornalistiche come la CNN, li definiscono “infamous“: si ricordi, ad esempio, quando a marzo, durante il vertice di Anchorage in Alaska, il segretario di stato americano Anthony Blinken e il responsabile della diplomazia cinese Yang Jiechi si sono scontrati su tematiche come i diritti civili, usando toni anche molto duri.

Oltre a questo, i rapporti bilaterali tra i due Paesi, fino alla Cop26 si possono riassumere con solo altre due telefonate, una a marzo e una a settembre, tra i capi di Stato.

Qualche giorno prima che terminasse la ventiseiesima edizione della Conferenza delle parti, però, si sono iniziati a vedere i primi cambiamenti di rotta all’interno delle relazioni diplomatiche tra questi due Paesi. 

I due leader, infatti, hanno pubblicato una dichiarazione congiunta in cui si impegnano reciprocamente ad adottare strumenti più idonei alla lotta al cambiamento climatico e ad incontrarsi entro il 2022 per decidere quali azioni concrete intraprendere al fine di contrastarlo.

Si è decisa come data il lunedì dopo la fine della Cop26: l’incontro virtuale si apre tra saluti e affermazioni come quella di Xi Jinping “L’umanità vive in un villaggio globale e insieme affrontiamo molteplici sfide. La Cina e gli Stati Uniti devono aumentare la comunicazione e la cooperazione.

La cooperazione e comunicazione, in accordo con gli analisti, sono state, quanto meno, restaurate: è stata costruita una base per un potenziale, futuro dialogo con meno tensioni e per una relazione più costruttiva e stabile.

A testimonianza di ciò abbiamo l’accordo successivo all’incontro virtuale in base al quale i due Paesi si impegnano sia ad allentare le restrizioni dei visti giornalistici sia di riprenderne il rilascio.

Per quanto riguarda le molteplici sfide, però, non si sono trovati accordi per affrontarle insieme.

Cartina Taiwan. Fonte wikimedia commons.

Questo è dimostrato dal fatto che molte delle questioni che rendono problematico il dialogo tra i due Paesi non sono state risolte: prima tra tutte la questione di Taiwan.

La Repubblica Popolare Cinese vuole annettere al suo territorio Taiwan, isola indipendente in cui il precedente governo nazionalista cinese, nel 1949, è scappato dopo l’instaurazione del regime comunista: insieme agli arcipelaghi circostanti costituisce la Repubblica di Cina.

Subito dopo la fine dell’incontro, sui principali media e social media cinesi è comparso questo titolo: “Biden ribadisce di non sostenere l’indipendenza di Taiwan!”

Biden, invece, sostiene che solo Taiwan possa decidere del suo destino, infatti dopo l’incontro virtuale, il portavoce della Casa Bianca ha detto: “Su Taiwan, il presidente Biden ha sottolineato che gli Stati Uniti restano impegnati nella politica dell’unica Cina e che gli Stati Uniti si oppongono fermamente agli sforzi unilaterali per cambiare il status quo o minare la pace e la stabilità nello stretto di Taiwan.”

Attacco jihadista in Burkina Faso: almeno trenta morti

Sono come minimo 32 le persone che hanno perso la vita domenica 14 novembre a causa di un attacco jihadista in una Gendarmeria nel nord del Burkina Faso, lo ha reso noto il Governo attraverso un comunicato ufficiale. Tra le vittime ci sono 28 gendarmi e quattro civili, il che rende questo assalto uno dei peggiori subiti dalle forze dell’ordine Burkinabé da 6 anni a questa parte. Il bilancio dei morti è del tutto provvisorio e potrebbe subire delle variazioni nelle prossime ore. A ciò si è aggiunto il fatto che il Governo locale ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. 

L’assalto si è verificato di domenica all’alba, quando decine di jihadisti si sono scagliati contro la Gendarmeria nella località di Inata nella provincia di Soum, nelle vicinanze del confine con il Mali. Stando a fonti certe da parte delle autorità locali, nel momento dell’attacco erano presenti circa 100/150 uomini all’interno della base, dove si è verificato un intenso scambio di colpi d’arma da fuoco. 

Militare impegnato nel respingere gli attacchi jihadisti, fonte Wikimedia Commons

Nelle ore successive all’attacco e dopo l’invio di rinforzi, sono apparsi 27 gendarmi sani e salvi, a testimonianza del fatto che il bilancio delle vittime potrebbe peggiorare con il passare del tempo. 

Il Presidente del Burkina Faso, Roch Marc Cristian Kaboré, ha inviato un messaggio di condoglianze alle famiglie vittime attraverso il suo Twitter: «Dobbiamo restare uniti di fronte alle forze del male che ci impongono una guerra spietata. Saluto il ricordo dei nostri coraggiosi agenti di sicurezza caduti nel campo dell’onore». 

Recentemente, il partito di opposizione ha adottato delle misure preventive a seguito dell’aumento di casi di violenza. Altresì ha mobilitato la popolazione per chiedere le dimissioni dell’attuale Presidente, il quale aveva già promesso di porre fine alla minaccia terroristica durante la campagna elettorale del 2020 che lo ha portato poi al suo secondo mandato. Successivamente, si sono verificate varie proteste popolari in cui sono stati commessi diversi atti vandalici, in una località distante 50 km dalla capitale. 

Anche il Mali è soggetto a continui attacchi jihadisti. Da ciò ne è derivata una crisi nazionale e un peggioramento delle condizioni di sicurezza, problematiche già esistenti nel momento in cui ha avuto luogo il colpo di stato nel settembre del 2020.

Crisi migratoria Bielorussia-Polonia: cosa c’è da aspettarsi?

La crisi migratoria nel confine tra Bielorussia e Polonia si è ampliata in grandi proporzioni negli ultimi giorni. È stato reso noto che circa 3 o 4 mila migranti abbiano tentato di oltrepassare il confine illegalmente. Molti di loro arrivano in Bielorussia via aerea e utilizzano questo “scalo” come transito per arrivare in Europa.

Come ha avuto inizio il flusso di migranti?

Già dallo scorso anno, le autorità bielorusse hanno annullato o modificato in maniera più semplice i requisiti del visto per 76 paesi. Tra questi ci sono Paesi come Siria, Libia, Iraq e Afghanistan dove molti stanno fuggendo per via dei conflitti armati che si stanno manifestando. Questo è il motivo per cui alcune agenzie dei suddetti Paesi hanno iniziato a vendere viaggi per la Bielorussia che “offrono” alloggio e un lavoro in un Paese dell’Unione Europea. Un viaggio di questo tipo ammonta all’incirca tra i 10.000 e i 20.000 dollari in base alle condizioni previste. In aggiunta, la Bielorussia ha incrementato in maniera significativa il numero di voli da e verso il Medio Oriente, fatto che ha suscitato perplessità poiché spinge a pensare che le stesse autorità locali si nascondano e appoggino queste agenzie di viaggio. 

Da dove provengono i migranti?

Fino a metà del 2021, l’Iraq era il principale punto di partenza. Attualmente sono le popolazioni curde della Siria che cercano di entrare in Europa via aerea.

Tentativo di oltrepassare il confine da parte di alcuni migranti, fonte Wikimedia Commons

Come raggiungono il confine tra Bielorussia e Polonia?

Molti voli sono operati dalle compagnie aeree Belavia, Turkish Airlines, Qatar Airlines e Fly Dubai. Al momento della partenza è impossibile identificare i passeggeri come migranti poiché tutti dispongono di titoli di viaggio in regola. Ma ciò che accade successivamente resta ancora poco chiaro.

Come attraversano il confine?

Inizialmente, le guardie di frontiera polacche e lituane lasciavano entrare le persone che poi venivano mandate in apposite strutture. A seguito di conflitti interni, il passaggio è stato sbarrato e per i migranti è possibile oltrepassare il confine solamente in modo illegale. 

E le guardie di frontiera bielorusse?

Girano video che mostrano immagini in cui le guardie stesse sembrano autorizzare l’entrata illegale dei migranti.

Dove finiscono per andare i migranti?

Sia la Polonia che la Lituania sono Paesi di transito per i migranti. Molti di loro hanno come destinazione finale Germania, Francia, Austria e Paesi Bassi. Infatti, secondo le autorità tedesche, circa 5.000 persone sono arrivate in Germania partendo dalla Bielorussia. Alcuni, al contrario, rimangono come migranti in Bielorussia e sono costretti a vivere per strada. Sono ancora poco note le cifre esatte di coloro che si pensa siano costretti a non poter fuggire dal territorio bielorusso.

Qual è la posizione della Russia?

I funzionari di molti Paesi dell’UE credono che la Russia partecipi al flusso di migranti. Il Primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha accusato pesantemente la Russia. In risposta, il segretario di stampa russo, Dmitry Peskov, ha definito il comportamento come inaccettabile. 

La lenta ripresa di Disney Plus preoccupa Wall Street

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Il servizio di streaming a pagamento Disney Plus, incentrato su contenuti non solo Disney, ma anche Pixar, Marvel, Star Wars e National Geographic, ha avuto uno splendido esordio in diversi Paesi, raggiungendo 100 milioni di abbonati in soli 16 mesi. Disney Plus è stato reso disponibile nel 2019 negli USA, in Australia, Nuova Zelanda, Canada e nei Paesi Bassi, debuttando infine nel 2020 negli altri Paesi europei. Nel mese di novembre celebra il suo secondo anniversario ed è cresciuto ad un ritmo vertiginoso. Questo lo ha reso una delle piattaforme di intrattenimento di maggior successo sul mercato e un valido concorrente di Netflix, il leader mondiale dello streaming. Disney Plus continua a crescere anche dopo la pandemia, ma non così rapidamente come speravano gli investitori di Wall Street, spaventati dal lento progresso. Attualmente la piattaforma ha 118,1 milioni di abbonati, un numero maggiore rispetto a quello di agosto, in cui se ne contavano 116 milioni, ma è un risultato più debole del previsto che ha causato il calo delle azioni fino al 4,5% nel trading after hours.

L’amministratore delegato (CEO) della Walt Disney Company, Bob Chapek, ha dichiarato in una lettera, destinata agli investitori della società, che quest’ultima si ritiene “estremamente soddisfatta del successo della nostra attività di streaming”, che include altre due piattaforme: Hulu (39,4 milioni di abbonati), con film e spettacoli, e ESPN+ (12,1 milioni di abbonati), dedicata ad eventi sportivi. “Continuiamo a gestire la nostra attività – ha proseguito Chapek – e siamo fiduciosi che il nostro intrattenimento di alta qualità e l’espansione in altri mercati del mondo ci consentiranno di far crescere ulteriormente le nostre piattaforme di streaming a livello globale.” Nonostante questa dichiarazione, nell’ultimo trimestre Disney Plus ha raggiunto solo due milioni di nuovi abbonati, molti meno rispetto ai 12 milioni del trimestre precedente. La crescita attualmente si è stabilizzata in modo evidente.

Quali sono le cause? Innanzitutto, il mercato dello streaming è diventato più affollato da quando è stato lanciato il servizio nel 2019. Inoltre, Chapek ritiene che la causa sia dovuta anche al rallentamento del lancio di nuovi prodotti, a causa del Covid-19. Tuttavia, non bisogna dimenticare che Disney è un’azienda enorme e, differentemente dalle sue attività digitali, quelle nel mondo reale hanno avuto un buon trimestre: i parchi a tema e il merchandising hanno mostrato una solida ripresa dalla pandemia. Dopo ingenti perdite e le chiusure delle attività, le entrate sono nuovamente salite a $ 5,4 miliardi nel quarto trimestre, un aumento del 99% rispetto ai $ 2,7 miliardi di un anno fa. In questo modo, si apre un divario profondo tra i ricavi dei parchi e quelli dell’intrattenimento digitale.

Brescia: quando l’arte vince sulla politica

È risaputo, l’arte ha un grande potere. Nel trovarci di fronte ad un’opera di un qualsiasi autore infatti molto spesso siamo portati a riflettere, a confrontarci con noi stessi.

A Brescia, per una volta, la cultura ha prevalso contro la presa di potere, contro idealismi vari ed imposizioni delle volte esagerate. L’antefatto è il seguente: un artista di trentacinque anni, nato a Shangai, conosciuto con lo pseudonimo di Badiucao e totalmente anonimo fino al 2019, è stato accolto nella cittadina di Brescia con le sue opere. L’ambasciata cinese, venuto a conoscenza della stessa, ha inviato una lettera con parole molto ferme, con la stessa richiedendone la tempestiva cancellazione.

L’artista infatti, considerato una sorta di Banksy cinese, fino a due tre anni fa era rimasto in anonimato per proteggere se stesso, per evitare contrasti con le autorità cinesi, e per continuare a diffondere la sua arte. Basta dare uno sguardo alle sue opere per capire che l’artista è un personaggio molto critico, soprattutto nei riguardi del partito comunista cinese. Le sue opere, infatti, hanno ormai da anni come tema ricorrente la difesa della democrazia e dei diritti”.

Per aggirare la censura l’artista diffonde i suoi disegni su Twitter, sostenendo che in Cina i social sono in costante monitoraggio per poter intercettare le parole che possano risultare come “sensibili”, ma in questo processo non rientrano le immagini. È proprio attraverso l’uso delle vignette che Baiducao si ripropone di raggiungere tutti i cinesi che usano Twitter e che in questo modo possono essere maggiormente informati di ciò avviene attorno a loro.

Il Comune di Brescia e la Fondazione Brescia Musei, che si occupano direttamente dell’organizzazione e gestione della mostra, una volta ricevuta la lettera, non hanno esitato a rispondere. Il sindaco Emilio Del Bono e la presidentessa di Brescia Musei Francesca Bazoli hanno inviato pochi giorni dopo una risposta all’ambasciata, con una seconda lettera, in cui forniscono alcune spiegazioni essenziali per giustificarne lo svolgimento e l’impossibilità alla cancellazione.

L’intento ultimo della mostra dell’artista non dovrebbe essere quello di porre in cattiva luce la nazione cinese o il popolo cinese stesso, ma è importante sottolineare l’importanza della libera espressione anche e soprattutto in un contesto di elasticità mentale e di consapevolezza della realtà circostante.

La stessa mostra si va ad inserire in una tradizione all’interno di una cittadina con grande spirito di apertura nei confronti di personaggi dissidenti, a partire dagli anni sessanta, ad esempio, con l’esperienza della Cooperativa cattolico-democratica di Cultura, che l’ha vista accogliere artisti di origine russa, polacca e di varie altre origini.

La mostra di Badiucao quindi il 12 Novembre è stata finalmente inaugurata, questo nonostante il caso diplomatico ormai di interesse nazionale e le intimidazioni pervenunte dall’amministrazione comunale di Brescia.

In questo periodo di contrasto e incertezza l’unica cosa che rimane è la cultura, e questa volta l’arte ha vinto. L’essenza del popolo italiano, in fondo, è tutta qui.