sabato, 4 Maggio 2024
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Brasile-USA: Biden invita Lula alla Casa Bianca

Lo scorso lunedì 5 dicembre il presidente eletto Luiz Inácio Lula da Silva e il Consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan si sono incontrati a Brasilia. L’incontro, durato circa due ore, ha riguardato un’ampia gamma di questioni, tra cui le crisi politiche e migratorie in Venezuela ed Haiti, la guerra in Ucraina e il cambiamento climatico. 

Dopo aver partecipato alla COP27 ed essere stato in Portogallo, il prossimo presidente del Brasile affronta intensi negoziati, sia con i suoi partner di coalizione per disegnare il suo governo, sia con il Congresso per approvare i fondi per tenere fede alla grande promessa elettorale di rinforzare i salari più bassi. Mentre in politica estera la sfida è rappresentata dall’attuale scenario internazionale in cui la rivalità tra Stati Uniti e Cina si fa sempre più intensa e il Brasile deve assumere una posizione. 

A seguito dell’incontro con Sullivan, in cui ha ricevuto l’invito di far visita al Presidente statunitense, Lula ha dichiarato sul proprio profilo twitter: «Sono entusiasta di parlare con Biden e di approfondire le relazioni tra i nostri Paesi». Il presidente Biden è stato uno dei primi leader stranieri a congratularsi con Lula dopo la sua vittoria alle elezioni dello scorso ottobre. 

Tuttavia, secondo quanto riportato da El País, il Consigliere di Lula per la politica estera, Celso Amorim ha lasciato intendere che l’agenda di Lula nelle quasi quattro settimane che mancano all’inizio del suo terzo mandato è molto fitta, affermando: «Lula è grato per l’invito, ma forse non ha il tempo di andare negli Stati Uniti prima dell’inaugurazione. Ritiene di poterci andare poco dopo l’inizio dell’anno, già in visita ufficiale come presidente».

Rispetto ai temi trattati nell’incontro, per gli Stati Uniti è fondamentale che in Venezuela si celebrino elezioni che si possano considerare corrette, per cui hanno lanciato un’operazione per ricostruire le relazioni con il governo di Nicolás Maduro. 

Mentre sulla guerra ucraina, la posizione di Lula è più ambigua di quanto Washington vorrebbe. Secondo quanto riportato dall’edizione latinoamericana di El País, nonostante in passato abbia suscitato polemiche accusando Zelensky di essere responsabile quanto Putin del conflitto, durante l’incontro Lula si è mostrato favorevole a una soluzione diplomatica.

Infine, rispetto al tema dell’emergenza climatica, Lula e Sullivan si sono detti favorevoli a una più stretta cooperazione, senza, però, parlare di misure concrete. E mentre il Brasile ha chiesto il sostegno di Washington nella sua richiesta di allargare il Consiglio di Sicurezza ad altri membri, gli Stati Uniti chiedono a Lula di dispiegare una nuova operazione ad Haiti per stabilizzare il Paese e frenare così i flussi migratori verso gli Stati Uniti.

Price cap: arriva l’intesa, ma le polemiche rimangono

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La contorta vicenda del price cap, ovvero il tetto da applicare al prezzo del petrolio russo, è stata risolta lunedì 5 dicembre, stabilendo il prezzo a 60 dollari al barile.

La misura è stata proposta dalla Commissione europea già agli inizi delle ostilità fra Russia e Ucraina, ma per mesi è stata rimandata fra ostruzionismi, polemiche e ripensamenti vari. Lo scopo principale è di far sì che il Cremlino non possa ricavare dalle vendite di petrolio i fondi necessari per alimentare la sua macchina da guerra in Ucraina.

Come riportato dalla BBC, la Russia è il secondo produttore mondiale di petrolio, che è la sua fonte primaria di ricavi insieme al gas.

La contromisura che il Cremlino ha minacciato di applicare a seguito delle proposte di applicazione del price cap è la sospensione completa di rifornimenti per tutti quei paesi che aderiranno alla misura. Ora che la misura è stata posta in essere, Mosca afferma di stare lavorando ad una risposta adeguata e il portavoce di Putin, Dmitrij Peskov, sottolinea che il tetto al prezzo del petrolio non influenzerà l’operazione militare portata avanti dalla Russia.

In Europa, come in altre parti del mondo, l’effetto immediato è stato un leggero aumento dei prezzi del carburante, che secondo molti analisti è destinato a salire ancora nelle prossime settimane. Le piazze asiatiche invece sembrano correre, con Hong Kong in testa. L’Asia è infatti il mercato al quale la Russia si è rivolta per vendere le sue materie prime, con Cina e India che si confermano le più grandi acquirenti di petrolio e gas russo, pronte a colmare il vuoto lasciato dagli importatori europei.

Intanto da Kiev la decisione viene incontrata con poco entusiasmo, venendo bollata come “poco seria” e “debole” dall’ufficio di Volodymyr Zelensky, che aveva incoraggiato misure ancora più forti per bloccare gli introiti del Cremlino.

Von der Leyen: «l’UE deve agire contro le distorsioni del piano climatico statunitense»

Secondo quanto riporta la BBC, alcuni membri dell’UE hanno criticato l’Inflation Reduction Act (IRA) degli Stati Uniti, sollevando il timore di una guerra commerciale secondo cui le agevolazioni fiscali potrebbero attirare le imprese dell’UE e svantaggiare l’economia europea.

A tal proposito, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha affermato che l’UE dovrebbe «adeguare le proprie regole» in quanto «la concorrenza è positiva ma deve rispettare condizioni di parità» ha evidenziato durante un discorso in Belgio.

In base all’IRA, i consumatori statunitensi riceveranno incentivi per l’acquisto di automobili elettriche nuove e di seconda mano, impianti per riscaldare le loro case con pompe di calore e persino per cucinare utilizzando l’induzione elettrica.

Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden l’ha definita «l’azione più aggressiva» intrapresa dal suo Paese per affrontare la crisi climatica. Gli alleati europei la considerano una minaccia anticoncorrenziale per l’occupazione in Europa, soprattutto nei settori dell’energia e dell’automobilistica.

Ursula von der Leyen ha affermato che l’Unione Europea deve collaborare con gli Stati Uniti «per affrontare alcuni degli aspetti più preoccupanti della legge», aggiungendo che l’UE deve anche «adeguare le proprie norme sugli aiuti di Stato per stimolare gli investimenti pubblici nella transizione ambientale».

La nuova legislazione è stata sollevata durante il viaggio del Presidente francese Emmanuel Macron a Washington per incontrare Biden questa settimana.

Il Presidente degli Stati Uniti ha detto che potrebbero essere apportate modifiche per rendere più facile per le imprese europee beneficiare del pacchetto di sovvenzioni.

«Non ho mai avuto intenzione di escludere le persone che collaborano con noi: siamo tornati in affari, l’Europa è tornata in affari e continueremo a creare posti di lavoro negli Stati Uniti, ma non a spese dell’Europa», ha dichiarato Biden.

In un’intervista rilasciata domenica scorsa negli Stati Uniti, Macron ha dichiarato che la questione è «risolvibile» e che il colloquio con Biden è stato «franco e proficuo», affermando inoltre che «indebolire l’industria europea non è nell’interesse dell’amministrazione e della società statunitense».

Chiesa ortodossa ucraina taglia tutti i legami con la Russia

Come riportato dal sito russo Gazeta.ru, Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskij ha dichiarato che le autorità del Paese hanno proposto di approvare una legge che vieti le attività delle «organizzazioni religiose affiliate ai centri di influenza della Federazione Russa”. Ha dichiarato che la decisione è stata presa durante una riunione del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale, che ha preso in considerazione “numerosi fatti di legami tra alcuni circoli religiosi in Ucraina e lo Stato aggressore».

Nella sua dichiarazione, Zelenskij non ha specificato a quali “circoli religiosi” si riferisse, ma ha menzionato separatamente l’ordine di effettuare un esame peritale dello statuto della Chiesa ortodossa ucraina (Ukrayinska Pravoslavna Tserkva) per vedere se ha un legame ecclesiastico-canonico con il patriarcato di Mosca.

Secondo un reportage della BBC Russian News, nelle ultime settimane il Servizio di sicurezza dell’Ucraina ha condotto numerose perquisizioni nelle strutture utilizzate dalla chiesa, a maggio questa chiesa ha tenuto un concilio, in seguito al quale ha dichiarato l’indipendenza dal Patriarcato di Mosca. Allo stesso tempo, sono ancora in corso discussioni per stabilire se l’UOC sia diventata veramente indipendente da Mosca. Molti vescovi e sacerdoti non sostengono la separazione dell’UOC da Mosca.

La promessa del presidente ucraino è quella di perseverare la piena indipendenza spirituale del paese, impedendo alla Russia di costruire il proprio impero d’influenza nell’anima del popolo ucraino. Una serie di perquisizioni e ispezioni nelle diocesi del territorio è iniziata nell’ottobre di quest’anno. I comunicati stampa dell’Servizio di sicurezza dell’Ucraina in questa occasione affermavano invariabilmente che lo scopo di queste misure era di verificare se i locali delle diocesi non venissero utilizzati come cellule russe, con la possibilità che lì potessero nascondersi cittadini dello Stato aggressore e munizioni.

Come riportato sul sito del Servizio di Sicurezza Ucraino, alla fine di ottobre il capo ad interim del Servizio di sicurezza ucraino Vasyl Malyuk ha annunciato che dall’inizio della guerra sono stati aperti 23 casi penali contro membri dell’UOC e 33 membri del clero ucraino sono sospettati. Tra le decisioni prese durante la riunione odierna del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa c’è la seguente: «fornire la verifica della base legale e del rispetto delle condizioni di utilizzo da parte delle organizzazioni religiose della proprietà, che si trova sul territorio della Riserva nazionale storica e culturale di Kyiv-Pechersk».

Canada: presunto serial killer accusato di aver ucciso quattro donne indigene

Lo scorso maggio la polizia aveva accusato un uomo canadese di 35 anni di aver ucciso una vittima, la 24enne Rebecca Contois. Giovedì scorso l’uomo è stato accusato di altri tre omicidi di primo grado. Si ritiene che tutte le vittime siano donne indigene, ha dichiarato la polizia di Winnipeg.

Secondo quanto riporta la BBC, la polizia ha identificato il sospetto come Jeremy Skibicki di Winnipeg, arrestato per la prima volta il 18 maggio in relazione all’omicidio della signora Contois, membro della Prima Nazione O-Chi-Chak-Ko-Sipi nella provincia di Manitoba. In una conferenza stampa tenutasi giovedì, gli investigatori hanno dichiarato di ritenere Skibicki responsabile di altre tre morti.

Il capo della polizia Danny Smyth ha affermato che «è sempre inquietante quando c’è un qualsiasi tipo di omicidio seriale», aggiungendo che questi omicidi sono particolarmente inquietanti perché «coinvolgono donne indigene».

Morgan Beatrice Harris, 39 anni, è stata uccisa intorno al primo maggio, mentre Marcedes Myran, 26 anni, è stata uccisa circa tre giorni dopo. Entrambe le donne sono membri della Long Plain First Nation ma vivevano a Winnipeg.

La polizia non ha ancora identificato la quarta vittima. Ha fatto appello al pubblico per ottenere informazioni e ha diffuso le foto di una giacca invernale che le apparteneva. Gli investigatori, tuttavia, hanno dichiarato di ritenere che anche la vittima non identificata sia una donna indigena di circa 20 anni.

I corpi di Harris, Myran e della donna non identificata non sono ancora stati recuperati. I resti di Cantois sono stati scoperti il 16 maggio in un bidone nella zona nord di Winnipeg.

Il Canada ha una storia di violenza sproporzionata nei confronti delle donne indigene, che è stata definita un “genocidio” da un’inchiesta pubblica nazionale nel 2019.

L’inchiesta nazionale sulle donne e le ragazze indigene uccise e scomparse ha rilevato che circa 1.200 donne in Canada sono state uccise o sono scomparse tra il 1980 e il 2012, ma si ritiene che il numero sia più alto.

Nel 2014 l’agenzia statistica federale del Paese ha riferito che le donne indigene hanno una probabilità sei volte maggiore di essere vittime di un omicidio rispetto alle donne non indigene.

Mercosur: Argentina, Brasile e Paraguay uniti contro l’Uruguay

I membri del Mercato comune dell’America meridionale (Mercosur), Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay si incontreranno martedì 6 dicembre a Montevideo. Il clima del vertice è particolarmente teso a causa dell’attività negoziale bilaterale dell’Uruguay al di fuori del blocco, in violazione di quanto stabilito negli statuti del Mercosur.

Le cancellerie di Argentina, Brasile e Paraguay hanno pubblicato su Twitter una lettera congiunta dei rispettivi ministeri degli Esteri in cui avvertono il governo uruguaiano di Luis Lacalle Pou che non tollereranno più negoziati bilaterali al di fuori del blocco.

Ad inasprire la tensione con Montevideo è anche il tour che il ministro degli Esteri uruguaiano, Francisco Bustillo, sta effettuando in Australia e Nuova Zelanda per aderire al Partenariato Trans-Pacifico: gli statuti del Mercosur vietano a uno dei Paesi partner di stipulare accordi al di fuori del blocco senza il consenso degli altri membri. 

Come riportato nel post Twitter della cancelleria argentina, nella lettera congiunta si legge: «In considerazione delle azioni del governo uruguaiano in vista della negoziazione individuale di accordi commerciali con una dimensione doganale e tenendo conto della possibile presentazione da parte della Repubblica Orientale dell’Uruguay di una richiesta di adesione al Trattato di Partenariato Trans-Pacifico Globale e Progressivo (CPTPP), i Coordinatori Nazionali di Argentina, Brasile e Paraguay nel Gruppo del Mercato Comune del Mercosur intendono comunicare al Coordinamento Nazionale dell’Uruguay che i tre Paesi si riservano il diritto di adottare le misure che riterranno necessarie per difendere i propri interessi in ambito giuridico e commerciale».

Quello che si legge è quindi un’intimidazione che rappresenta il culmine di un’escalation che dura da anni che, secondo quanto riportato da El País, si deve all’insistenza dell’Uruguay ad aprirsi al commercio con altri Paesi per liberarsi della «zavorra» del Marcosur, come ha detto più volte il presidente Lacalle Pou. L’Uruguay, in quanto partner minore del Mercosur, lamenta da anni che la regolamentazione doganale che si applica ai partner rende le sue importazioni inutilmente costose, e che la mancanza di accordi di libero scambio tra il blocco e i Paesi terzi ne impedisce lo sviluppo economico.

Come riportato da El País, il Ministero degli Esteri argentino ha precisato che la lettera spiega formalmente che i Paesi membri si riservano il diritto di agire legalmente se le intenzioni dell’Uruguay dovessero concretizzarsi, e ha ricordato che in tutte le occasioni in cui l’Uruguay ha mostrato interesse a negoziare unilateralmente accordi commerciali con Paesi terzi, la risposta degli altri partner è sempre stata: «Non si può essere uno Stato parte e tenere una condotta contraria al Mercosur e ai suoi membri». 

Questo è dunque il clima in cui si terrà il vertice, in cui l’Uruguay cederà la presidenza pro tempore all’Argentina, e che rappresenta per il presidente brasiliano Jair Bolsonaro l’ultima occasione di partecipare a un vertice internazionale prima di passare il testimone a Lula da Silva.

Il Canada rafforza la sua posizione sui minerali rari

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La presa di posizione canadese relativa alla gestione dei minerali rari del Paese della foglia d’acero fa seguito alle proteste per la crescente attrazione della Cina verso i minerali canadesi. Il più grande produttore mondiale di terre rare ha già preso provvedimenti per rifornirsi dal Canada di decine di minerali come cobalto, litio e manganese, utilizzati nei pannelli solari, nelle turbine eoliche e nelle batterie dei veicoli elettrici.

Secondo quanto riporta Le Figaro, gli investimenti di società statali straniere nel settore dei minerali rari canadesi saranno ora approvati solo «in via eccezionale», ha dichiarato il governo, che ha individuato 31 “minerali critici” in quanto da essi dipende «la prosperità economica sostenibile del Canada».

Questa misura si applica a tutti gli investimenti e non solo alle acquisizioni di società canadesi, come avveniva in precedenza. Per giustificare questa decisione, il Ministro dell’Industria François-Philippe Champagne ha sottolineato che il coinvolgimento di una società statale straniera in tali transazioni potrebbe, a lungo andare, costituire motivo di «compromissione della sicurezza nazionale del Canada».

Negli ultimi due decenni la Cina ha investito miliardi di dollari in Canada per assicurarsi una fornitura di metalli rari. A gennaio, Ottawa ha permesso alla società statale cinese Zijin Mining Group di acquisire la società canadese Neo Lithium Corp. L’accordo ha suscitato un certo scalpore in Parlamento, che ha organizzato delle audizioni sull’argomento, mettendo in difficoltà il Ministro dell’Industria.

Lo scorso venerdì, durante una visita a un impianto di riciclaggio del litio a Montréal con il Segretario di Stato Antony Blinken, il Ministro degli Affari Esteri Mélanie Joly ha sottolineato che la domanda di litio sta per aumentare del 4000%. «Il mondo ha bisogno di minerali rari», ha detto, aggiungendo che «il Canada può diventare uno snodo centrale» per questi minerali.

Vertice NATO: le richieste di Kiev

Come riportato dalla BBC Russian News, in una conferenza stampa nel corso del vertice NATO tenutosi in Romania, considerando i ripetuti attacchi missilistici che hanno caratterizzato le ultime settimane, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha reso noto l’estremo bisogno da parte dell’Ucraina di sistemi di difesa missilistica Patriot per proteggere le sue infrastrutture civili e di carri armati di tipo occidentale per combattere contro la Russia. Il vertice dei ministri degli Esteri della NATO si è tenuto a Bucarest ed è durato due giorni. In seguito alle decisioni prese, Dmytro Kuleba ha affermato essere stato un errore di valutazione strategica la decisione da parte dell’Alleanza di non accettare l’Ucraina tra i suoi ranghi nel 2008, evidenziando che l’esame dell’attuale candidatura del Paese non dovrebbe essere rimandato a dopo la guerra.

Dopo l’incontro, i membri dell’Alleanza Atlantica hanno ribadito il loro pieno sostegno a Kiev, senza però annunciare la consegna di sistemi di difesa aerea o di carri armati. Il Segretario Generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg, da parte sua, ha descritto il compito principale della NATO in questo momento come aiutare l’Ucraina a vincere la guerra contro la Russia, e i ministri degli Esteri partecipanti si sono impegnati a mobilitare tutte le forze per il sostegno militare, economico, finanziario e umanitario all’Ucraina. Questo in base a quanto riportato dalla mittente tedesca DW.

Dall’inizio di ottobre la Russia ha iniziato a bombardare sistematicamente obiettivi civili in Ucraina, costringendo i residenti a convivere con frequenti blackout di elettricità, calore, comunicazioni e acqua. Questo potrebbe diventare un problema molto più serio in inverno, quando le temperature precipiteranno inesorabilmente. «La nostra richiesta è semplice: fornire i Patriot il prima possibile, perché l’Ucraina ha bisogno di questo sistema per proteggere i suoi civili e le infrastrutture critiche. Non è un’arma offensiva», ha detto Kuleba, sottolineando il timore di Kiev per ulteriori attacchi alle forniture energetiche da parte delle forze armate russe.

Twitter: nuove regole da rispettare per rimanere in Europa

L’avventura di Elon Musk con il suo nuovo acquisto giunge ad un nuovo capitolo a seguito dei licenziamenti e delle dimissioni delle scorse settimane: stavolta il patron di Tesla e nuovo proprietario di Twitter dovrà fare in modo da soddisfare la legislazione europea in materia di disinformazione e moderazione generale dei contenuti.

Appena completata l’acquisizione del social, Elon Musk ha infatti eseguito un taglio del personale, lasciando intendere anche che alcuni contenuti potranno essere pubblicati più liberamente. Tutto ciò ha sollevato non pochi dubbi in merito al nuovo ruolo della sorveglianza online che si immagina il multimiliardario per la sua piattaforma.

Come riporta il Guardian, fra i piani pensati per il nuovo twitter ci sarebbe un allentamento sulla censura dei post che potrebbero essere ritenuti disinformativi per quanto riguarda l’emergenza covid19, altra cosa che ha spinto Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno, a contattare direttamente Musk e invitarlo a fare di più per implementare la nuova normativa proposta dalla Ue.

La riunione si è rivelata costruttiva ed Elon Musk si è dimostrato pronto a collaborare, ma come sottolinea Breton, rimane ancora molto lavoro da svolgere.

Quello che rischia Twitter se non rispetterà le normative del nuovo DSA (Digital Services Act) in vigore dal 16 novembre, è una multa pari al 6% dei profitti globali che quindi ammonterebbe a circa 500 milioni di dollari. Nel caso in cui le sanzioni non dovessero sortire alcun effetto e vi fossero dei comprovati pericoli per la sicurezza e la vita delle persone, si procederà al blocco temporaneo della piattaforma in Europa.

Musk ha tempo fino agli inizi del 2023 per “mettersi in regola”, periodo in cui si prevede uno stress-test per capire se Twitter avrà effettivamente applicato tutte le regole previste dal DSA.

Arabia Saudita: a Jeddah si è registrata la più grande alluvione dopo il 2009

La città di Jeddah, in Arabia Saudita, è stata colpita da precipitazioni molto forti che hanno provocato la morte di due persone e lasciato la città nel caos.

Stando ai dati dell’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO), la piovosità totale annua nella città di Jeddah corrisponde a 55,6 mm. In sole sei ore invece, secondo quanto indicato da Al-Jazeera, sul centro urbano è caduta una quantità di pioggia che normalmente si registra nel corso di tre anni nella zona, cioè un livello di circa 179 mm.

Secondo i dati del Centro Nazionale di Meteorologia,  il livello di pioggia raggiunto è più alto di quello dell’ultima grande alluvione che devastò Jeddah nel 2009, provocando la morte di 122 persone.

Oltre alle due vittime, diversi cittadini sono rimasti intrappolati nei loro veicoli quasi completamente sommersi d’acqua, rendendo necessario il soccorso da parte dei sommozzatori e la chiusura immediata delle principali strade di circolazione della città.

Oltre alle strade, anche scuole e università sono state chiuse e si sono verificati diversi ritardi e annullamenti di voli nell’aeroporto internazionale King Abdulaziz.

Le piogge torrenziali e inondazioni si verificano ormai quasi ogni anno nella zona, ma gli effetti del cambiamento climatico non fanno altro che aumentarne la frequenza e l’intensità.

Per di più, gli abitanti di Jeddah da tempo denunciano la mancanza di infrastrutture adatte ad affrontare questi eventi metereologici estremi.

In città, infatti, vi sono numerosi quartieri, nati negli ultimi anni, costituiti da abitazioni e infrastrutture pericolose e di scarsa qualità, delle vere e proprie “baraccopoli” che vengono rapidamente danneggiate o distrutte da inondazioni di tale portata.

Il comune di Jeddah, dunque, in seguito a quanto è successo nei giorni scorsi, ha dichiarato che si impegnerà nella ricostruzione di almeno 64 di questi quartieri.

Inoltre, per affrontare l’emergenza, il comune di Mecca ha messo a disposizione 52 serbatoi d’acqua per rimuovere le acque alluvionali, ciascuno con una capacità di circa 194.000 galloni. Insieme a serbatoi, camion e cisterne, sono state schierate diverse squadre di pulizia per lavorare 24 ore su 24 allo sgombero delle strade. 

La città di Mecca, riporta Arab News, dispone di enormi sistemi di drenaggio dell’acqua piovana che raggiungono circa 540km e coprono tutti i quartieri e luoghi sacri della regione, compresa Jeddah.

Il comune svolge anche operazioni di manutenzione e pulizia durante tutto l’anno per contribuire a ridurre gli effetti delle inondazioni sulla regione, che però sembrerebbero ancora insufficienti a far fronte ad eventi metereologici sempre più disastrosi.